La compagine governativa attuale, sembra fare dell’azione poliziesca, in particolare repressiva, la cifra della sua prassi. Sin dall’insediamento dell’attuale esecutivo abbiamo assistito alla produzione di decreti legge mirati a individuare nuove tipologie di reato (per esempio nel decreto anti-rave), oppure a sancire l’esistenza di nuove categorie di devianti e criminali, come nel caso di Caivano.
I FATTI AVVENUTI a Pisa il 23 febbraio, con la repressione violenta dei manifestanti per la Palestina da parte della polizia, se da un lato rappresentano un’ulteriore suggello al marchio securitario, dall’altro lato chiamano direttamente in causa le forze dell’ordine, come articolazione del potere statale e suo interfaccia con i cittadini.
Se è vero che i governi possono cambiare connotazione politica all’interno di una cornice democratica, gli apparati dello Stato dovrebbero rimanere immuni dai rovesciamenti e dalle turbolenze ideologiche, rimanendo sempre assoggettati alla legge. In uno stato di diritto, quindi, la polizia dovrebbe seguire i dettami costituzionali e legislativi di tutela dei diritti civili e politici, in particolare, nel caso di Pisa, quello di manifestare. La realtà, drammaticamente, tende molto spesso a smentire le aspettative. Il libro di Giuseppe Campesi, Che cos’è la polizia? Un’introduzione critica (DeriveApprodi, pp. 96, euro 10) cerca di spiegare lo scarto tra teoria e pratica di polizia a un pubblico che va al di là della cerchia degli addetti ai lavori. Il libro si articola in quattro parti, in cui si discute densamente della natura, delle funzioni, della cultura di polizia e del rapporto tra le forze dell’ordine e i diritti.
LA POLIZIA, nota l’autore, a partire dagli anni del riflusso, è andata incontro ad una mutazione radicale. La fine delle grandi ideologie, la crisi della politica intesa come spazio di progettazione di nuove forme di vita associata, ha innescato due processi. Il primo è quello dell’allentamento del controllo politico sulle forze di polizia, in nome di una domanda di sicurezza che ha finito per introflettersi verso la tutela dell’incolumità individuale, abbandonando quasi del tutto la prospettiva di un’inclusione universale. Nel caso italiano, le vicende relative a Tangentopoli e alla criminalità organizzata hanno rafforzato l’autorità morale della polizia. Il secondo aspetto, legato al primo, riguarda il ruolo e il controllo delle forze di polizia. Nella società contemporanea, imperniata sull’individualismo competitivo, aumenta la domanda di ordine dal basso, dalla quale si generano sia il populismo poliziesco che quello penale. All’interno di questa cornice, l’operato delle forze dell’ordine assume una veste di assolutezza, nel senso di essere sciolto da ogni vincolo legislativo in nome della tutela della vita, della libertà, dell’autorità. Il paradosso della polizia emerge in tutta la sua urgenza. Da un lato, i poliziotti, costituiscono un’articolazione dell’apparato statale, quindi, nel nostro contesto, dello Stato di diritto. Dall’altro lato, proprio il fatto di incarnare la legge, di esserne la manifestazione concreta, li mette in condizione di agire ai margini, se non al di fuori, della cornice legale. Questo aspetto, anche a causa della loro condizione di «burocrati di strada», secondo la formula di Lipsky, li pone nella condizione di dovere interpretare la situazione in cui si trovano ad operare e a dover prendere una decisione sul momento.
LA DISCREZIONALITÀ dell’agire, costruita dalla combinazione tra questi due elementi, in periodi di crisi sociali e politiche gestite da governi che fanno del binomio legge e ordine il loro marchio di fabbrica, rischia di trasformarsi in una miscela esplosiva, che va a soffocare quelle libertà civili e politiche sulle quali si reggono i delicati equilibri democratici. Soprattutto, i più colpiti da questo innesco, sono i gruppi sociali subalterni e marginali, da sempre esposti all’azione preventiva e repressiva dello Stato.
Come se ne esce? In attesa che si riformino anticorpi democratici robusti, lavorare sull’accountability democratica, ovvero meccanismi che sottopongano l’operato delle forze di polizia al vaglio di organismi indipendenti. E che smitizzino una volta per tutte il binomio legge e ordine.
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