mercoledì 8 maggio 2024

TOTALITARISMI ODIERNI. LO STRAPOTERE DELLE MULTINAZIONALI. SITI W., Com’è giusto quel che piace ai giganti del web. Il più subdolo degli autoritarismi, DOMANI, 8.05.2024

 Discutiamo di censure e totalitarismi per contrapposizioni binarie, ma chi vigila sulle censure che il sistema mediatico opera senza che ce ne accorgiamo? L’informazione social si dichiara paladina della libertà, ma senza parere ci dice pian piano cosa desiderare e come essere graditi, entra nei nostri costumi e progetti. Il totalitarismo in fase di piena affermazione è quello delle multinazionali delle notizie e dei modelli di vita




A chi gli chiedeva, provocatoriamente, se fosse antifascista, il ministro Sangiuliano ha risposto: «Lei è anticomunista?». Risposta standard, ormai, presso molta destra: come per dire che i totalitarismi sono tutti da respingere, che sono stati condannati dalla Storia, che loro di destra col fascismo hanno fatto i conti e non erano nati quando il fascismo è stato abbattuto, mentre la sinistra continua a considerarsi segretamente comunista.

Hitler uguale Stalin, sterminio degli ebrei da una parte e holodomór in Ucraina dall’altra, gulag contro campi di concentramento. Fiuggi come la Bolognina.  Ciascuno dei due accusa l’altro di simpatie occulte per ciò che non è democratico, Togliatti prendeva gli ordini da Mosca e Mussolini ha fatto l’errore di fidarsi del Führer. Contrapposizione binaria che non ha senso ma serve a mostrare che l’antifascismo è diventato un’ossessione della sinistra, rimasta a corto di altri argomenti.

È solo politica politicante: la Storia ha chiarito da tempo che il fascismo (anche se nato autodefinendosi "rivoluzione”) è stato favorito dagli industriali e dagli agrari, ha esportato nel mondo il proprio modello autoritario affascinando Hitler e Franco, ha vinto approfittando della debolezza di una monarchia pavida e di un quadro parlamentare dalle radici ancora elitarie. Il comunismo è nato dall’opposizione al capitalismo: quali che siano state le sue aberrazioni storiche (e le sue illusioni economiche) ha dato speranza a chi stava sotto, da Cuba all’Africa, dalla Cina al Vietnam.

Ha fallito ma era un ideale di rovesciamento dei rapporti di classe, mentre il fascismo è stato un esperimento efficace di consenso di massa, basato su un’ipotesi di consociazione di classe a guida borghese, anche se il popolo vi si è riconosciuto e se non sono mancate le satire fasciste contro la borghesia come “categoria morale”, infiacchita e infiltrata di spirito ebraico.

Le analisi storiche sono lunghe e noiose: è più facile e più redditizio fare polemica, accusandosi a vicenda di voler instaurare il “pensiero unico” – il pensiero unico è sempre quello degli altri. Con abile spostamento argomentativo, la destra maggioritaria in Parlamento sta cercando di farsi passare culturalmente per minoranza oppressa; l’occupazione anche sguaiata delle istituzioni culturali è presentata come "contrappeso”, d’accordo un convegno su Gramsci ma prima allora uno su Gentile.

A vittima si contrappone vittima: Matteotti contro Trockij, gli omosessuali italiani mandati al confino contro Reynaldo Arenas, scrittore cubano incarcerato e torturato perché apertamente gay. La sinistra, pure non sorda alle sirene emergenziali (sirene di fabbrica, non di mare) ma forse frastornata dalla difficoltà di resistere contro un potere proteiforme che si proclama femminista e con la sua leader underdog promuove il culto della personalità, ha lasciato che la sua storia culturale venisse ora riassunta nella cosiddetta "cultura woke”: che ha assunto, inutile negarlo, soprattutto negli Usa ma per trascinamento anche da noi, alcuni caratteri di intolleranza.

LA CENSURA

Così anche sul tema della censura ci si può buttare in faccia le colpe dell’altro: voi impedite a Scurati di leggere il suo monologo a RaiTre, no voi siete peggio perché isolate come se fosse un lebbroso chiunque osi dire che donne si nasce e non si diventa. Il problema, credo, è quello degli anticorpi: fin che sono robusti, a ogni censura corrisponde un movimento contrario e la cosa censurata finisce col diventare virale, dunque la censura risulta controproducente; Joanne Rowling è odiata come transfobica nelle università americane ma da noi ha raccolto un’onda di simpatia e qualcuno (come me) si è messo a leggere Harry Potter proprio per la carica esagerata d’odio che l’ha colpita.

Ragionando sul tema degli anticorpi e della viralità mi è arrivato per traverso un pensiero inquietante: se l’attuale sistema mediatico, dalla tecnologia così pervasiva e onnipotente, rende praticamente (quasi) impossibile la censura, chi vigila sulle censure che il sistema mediatico stesso opera senza che noi ce ne accorgiamo? L’origine del mondo di Courbet, tanto per fare un esempio innocuo e un po’ buffo, è praticamente impossibile vederla in Rete se non da lontano e schermata nel punto cruciale della fica; perfino il libro di Savatier dedicato a quel capolavoro pittorico scandaloso (che riporta l’immagine in copertina) risulta su Amazon "attualmente non disponibile” e il colosso multinazionale dichiara di non saper se e quando tornerà a esserlo.

In casi come questo la ragione addotta è che ci sono i bambini, che devono essere protetti da immagini poco adatte a loro; si insiste sulla facilità di penetrazione del mezzo e sulla difficoltà anche per i regimi totalitari di silenziarlo completamente. Fantastica risorsa per ogni tipo di ribellione al potere. Se concepiamo la censura come un impedire di sapere, l’alluvione di informazioni proveniente da un’infinità caotica di fonti ne è certamente un antidoto; ma ci può essere una censura che invece di impedire toglie semplicemente il desiderio di sapere. Una censura per abbondanza invece che per privazione.

I giganti dell’informazione social si dichiarano paladini della libertà, recalcitrano a una regolamentazione specialmente se le regole li toccano nel portafoglio; ma senza parere ci dicono pian piano che cosa desiderare e come essere graditi, entrano potentemente nei nostri costumi e nei nostri progetti esistenziali. Ci convincono che le cose interessanti e piacevoli sono quelle che loro con sempre maggiore conoscenza mirata ci propongono; loro sanno mille cose di noi e noi non sappiamo quasi nulla di loro, di come funzionano e come possiamo reagire – ci escludono o ci sospendono in base a una loro policy tanto vaga quanto imperscrutabile, per una frase che magari manco ci ricordiamo di aver scritto.

CHI FA LA CULTURA

Se c’è un totalitarismo che non è “condannato dalla Storia”, ma anzi si trova in una fase di piena affermazione, è quello delle multinazionali delle notizie e dei modelli di vita. Certo è diverso il loro modo di obbligare e di nascondere. I regimi totalitari classici procedono per via di intimidazione e abbattono gli anticorpi con la violenza, che può essere diretta, brutale, o una sabbia mobile che lentamente sommerge e scoraggia il dissenso; gli autoritarismi culturali seguono la via delle buone intenzioni e ti fanno sentire, se i tuoi anticorpi sono diversi da quelli delle anime belle, un cattivo cittadino, un reprobo insensibile alla giustizia e alla speranza; le multinazionali del ti-portiamo-il-mondo-in-casa ti tolgono proprio la capacità e il bisogno di formarti anticorpi, visto che ti danno tutto e il contrario di tutto – sei tu che con la tua (fintamente) autonoma identità sei libero di scegliere.

Quando si parla di quel che non va nel consorzio civile (dall’ecologia trascurata al machismo, dal razzismo alla guerra) l’eterno ritornello è che «si tratta di un problema di cultura»; ma i giganti del web la cultura la fanno, privilegiando la facilità e la mono-dimensionalità e l’advertisement. Forse il problema sarebbe piuttosto di combattere la pressoché ovunque vittoriosa organizzazione della cultura (ebbene sì, capitalistica, anche se si presenta neutra come la Natura): ma è difficile, perché la sua potenza di fuoco è incommensurabile rispetto a quella, per esempio, della scuola. Forse la domanda giusta da fare a Gennaro Sangiuliano sarebbe «scusi, ma a lei di quale pezzetto di cultura la lasciano essere ministro?».

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