Beppe Vacca è professore emerito di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bari, già direttore dell’Istituto Gramsci, più volte parlamentare del Pci. La sua intervista all’Unità è una lezione di storia e di politica.
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SULLA GUERRA IN UCRAINA
"La dico così: il Partito democratico è stato forse il più zelante a precipitarsi nell’aderire all’impostazione che è stata data dagli Stati Uniti e dalla Nato all’invasione dell’Ucraina da parte di Putin.
Cosa non va in questo?
La missione fondamentale delle forze progressive italiane è sempre stata, durante tutta la storia dell’Italia repubblicana, quella di portare avanti una propria politica estera che avesse come obiettivo, costante e prioritario, quello di trovare soluzioni pacifiche alle controversie. Noi abbiamo avuto una notevole politica estera, dei Fanfani, dei Moro, per esempio verso il Medio Oriente e il Nord Africa, pur dentro i vincoli dell’Alleanza Atlantica. Ora, rispetto ad una vicenda come quella dell’Ucraina, può un partito come il Pd limitarsi a condividere una narrazione imposta autoritariamente dai media? Il problema non è solo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, ma come attorno a questo si costruisce una narrazione che esclude ogni possibilità di riflessione storica. Prova a discutere se sia giusto o no inviare le armi… L’unico principio è che c’è un invasore e c’è un invaso. Certo che c’è un invasore e un invaso. Ma poi su questo si costruisce una narrazione del tutto inattendibile.
Perché inattendibile?
Quando è cominciata la guerra? È cominciata con l’invasione, il 24 febbraio del 2022? Che cos’è l’invasione? E cos’è la risposta che vi è stata costruita intorno? La risposta costruita dall’Occidente è stata quella di estendere la Nato e cambiarne la missione. Per cui la missione attuale della Nato non è più quella di un’alleanza di difesa dei paesi del Nord Atlantico, ma è un’alleanza mirata a sconfiggere un nemico, indicato specificamente nella Russia di Putin. Questo ha fatto sì, come testimoniato da una abbondante letteratura giornalistica, che una parte dei sostenitori di questa narrazione hanno giustificato questo tipo di sostegno del cosiddetto Occidente all’Ucraina come la difesa di una democrazia europea invasa dall’autocrate russo.
Cosa non va in questa narrazione?
Si può definire l’Ucraina una “democrazia europea”? E l’autocrate russo andrebbe decifrato prima di accontentarsi della definizione tranciante? Dopo la fine dell’Unione Sovietica, la ricostruzione di una potenza panrussa, a cui si è applicato Putin con un crescente impegno da quando è salito al potere e soprattutto negli ultimi vent’anni, è fondata sul principio di nazionalismo panrusso. La “Grande Russia”, è la Russia di Mosca, la Russia di Kiev, e la Bielorussia. Come si fa a spacciare l’Ucraina che ne è parte integrante, anche dal punto di vista del tipo di oligarchie che ne hanno preso in mano il comando, per una democrazia occidentale? E per dipiù invasa all’improvviso. Questa narrazione, che è come una gabbia d’acciaio dentro la quale non si può decantare, che è il modo in cui la guerra viene rappresentata, non può che escludere il primato dell’azione diplomatica, della ricerca della pace. E così la “soluzione” è una guerra per procura, pagata dal popolo ucraino, che dovrebbe servire a destabilizzare o a contenere le mene imperiali di Putin. Ma se è così, l’Ucraina l’ha già persa la guerra. E con una perdita immane di risorse umane, distruzione e sofferenza. In questa situazione, come si ridefinisce l’identità politica del Pd? E come si concorre ad un ruolo dell’Italia come mediatrice di soluzioni che abbiano come obiettivo la fine della guerra e il ristabilimento di relazioni politiche e diplomatiche? C’è tutto questo nodo di problemi che si aggruma.
Da dove cominciare?
l punto di partenza non può che essere realistico. Nel momento in cui è finito il bipolarismo Stati Uniti-Unione Sovietica – e lasciamo stare che nel frattempo la Cina è diventata qualcosa che i policy maker occidentali non si aspettavano che diventasse, cioè un influente soggetto strategico mondiale in così breve tempo – all’Europa si è posto un problema molto chiaro: la Russia fa parte dell’Europa o no, materialmente? Certo, è un paese euroasiatico ma con una straordinaria proiezione e internità alle dinamiche europee. Con un tale paese che tipo di rapporti si vogliono avere? Quelli del contenimento? Ma in nome di chi? La Russia di Putin rappresenta una minaccia per l’Europa? Questa è una pura menzogna nella narrazione di guerra dentro cui siamo immersi. Se è una minaccia, lo è per chi? Non per l’Europa come tale, ma per una Europa alla quale è stata sottratta ogni funzione autonoma e specifica, con la costruzione della nuova Nato e della nuova alleanza dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. In una guerra per procura fra la Nato e la Russia, l’Europa non può avere alcun ruolo autonomo. Essa torna a essere parte di una definizione univoca di Occidente modellato, come agli inizi della Guerra fredda, dalla preponderanza degli Stati Uniti e dal suo rinvigorito unilateralismo. Ad ogni modo, oggi l’immagine dell’Occidente sembra ritornata quella di un protagonista unitario della politica mondiale, ma è una immagine spettrale su cui campeggia il lugubre vessillo della guerra inevitabile.
È questo che bisogna schiodare. E per questo è molto difficile e complesso il problema di ridefinire il profilo del Pd. Si tratta di cercare di contenere una militarizzazione estrema dell’informazione e del controllo dell’opinione pubblica, che ha come unica giustificazione quella di ritenere che non c’è altro da fare che la guerra. Questo si riverbera anche nel linguaggio più semplice. Che sintetizzerei in una battuta. Posso?
Certo che sì.
Nei giorni scorsi è venuto fuori che il dialogo tra Schlein e Meloni non si poteva fare sulle reti Rai per la sua incongruità, in quanto sono due leader che hanno già detto di concorrere per far parte del parlamento europeo e poi perché essendo elezioni col proporzionale puro è molto difficile usare quella modalità di confronto. Ora, è talmente introiettata la narrazione della politica mutuandola da quella bellica, che si continua a dire e scrivere “duello”. Perché “duello”? È un confronto. L’idea è che la politica è o tu o io. Ma questo non ci è più consentito nell’era atomica. Se noi non lo capiamo, regaliamo il tutto ad un altro soggetto che emerge, come soggetto egemonico mondiale non da solo, che è l’Asia, che è il vero problema di queste guerre e degli ultimi trenta-quaranta anni. E che emerge con una narrativa e una proposta di nuovo ordine mondiale che è quella fondata, in maniera più coerente e più corrispondente alle condizioni reali del mondo sia in termini di rapporti di forza sia in termini di diffusione degli armamenti nucleari che di conflitto nucleare, nel riadattamento che gli è stato dato, soprattutto dagli americani e dai russi più che dai cinesi, perché quelle armi possono essere usate, addomesticando le opinioni pubbliche perché in fondo, con le armi nucleari tattiche si può fare.
Molte delle idee che lei ha declinato sulla guerra, la pace, sono alla base della candidatura di Marco Tarquinio come indipendente nelle liste Pd alle europee. La sua è stata definita, in senso negativo, come una candidatura “pacifista”. Pacifista è diventato un “reato” politico?
Per una parte degli operatori dei media, sì, Fabrizio Roncone ha scritto sul settimanale del Corriere della Sera un profilo insultante di Tarquino che ricorda i peggiori stilemi del travaso qualunquista contro la sinistra. Tarquinio non è un “pacifista”. Da questo punto di vista, è schierato su questa linea con la dottrina del Papa che indica, giustamente, come obiettivo principale quello di fermare e far regredire questa progressiva degenerazione dei complessi militari-industriali come unico traino dei modelli di sviluppo in tutto il mondo. Questo enorme investimento in ricerca militare e di rafforzamento, qualitativo e quantitativo degli arsenali bellici, è una enorme dissipazione e spreco di risorse sotto ogni punto di vista. Questa è la pura realtà. Capisco che non faccia piacere a questa destra, non solo ai giornali di destra-destra ma anche ad alcuni filoni del Corriere della Sera, che vedono la candidatura di una personalità come Tarquino, che si è molto spesa per promuovere mobilitazioni e iniziative di pace ma non in senso “pacifistico” ma nel senso di ricercare soluzioni politiche al conflitto, esattamente di pari passo di come si muoveva Bergoglio, come fumo negli occhi. Una candidatura di prestigio di una persona che ha diretto egregiamente l’Avvenire che oso dire essere tra i giornali più indipendenti che ci siano oggi in Italia. Cosa ancor più meritoria, se si pensa all’arruolamento dei media su un fronte o su un altro, diventato ferreo, la vera camicia di forza dentro la quale se azzardi a ragionare diversamente, immediatamente ti dicono a brutto muso “sei per Putin”. Ma che vuol dire “sei per Putin”? Io sono italiano, voglio stare in Occidente, ma l’Occidente non si definisce in base a quello che passa nella testa, più o meno mutevolmente, delle sue leadership politiche. Si definisce reciprocamente rispetto a come evolvono gli altri. Se deve fissare i suoi principi, li deve fissare rispetto ad una valutazione realistica e storica dell’epoca in cui siamo. Un’epoca nella quale la guerra non può più essere la prosecuzione della politica con altri mezzi. L’Europa o rinasce da questa consapevolezza o è destinata sempre più d’un triste vassallaggio. E con essa la sinistra.
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