ITALIA BENE COMUNE. Carta di intenti
Pier Luigi Bersani ha assicurato
che il nuovo patto per la coalizione di centrosinistra sarà vincolante, per non
ripetere l'esperienza del passato. «Governare non è facile per nessuno e non
possiamo deludere il Paese», ha detto il segretario del Pd, presentando la Carta
d'intenti con Nichi Vendola e Riccardo
Nencini. «Ci siamo presi degli impegni reciproci e vincoli di
organizzazione», ha assicurato. «Il prossimo giro non si governa senza popolo».
Noi democratici e progressisti ci riconosciamo
nella Costituzione repubblicana, in un progetto
di società di pace, di
libertà, di eguaglianza, di laicità, di giustizia, di progresso e di
solidarietà. Vogliamo
contribuire al
cambiamento dell’Italia, alla ricostruzione delle sue istituzioni, alla
pienezza
sua della vita
democratica. Per questo promuoviamo le elezioni primarie. Per scegliere il
candidato
comune dei democratici e
dei progressisti alla guida del governo del nostro Paese.
La prossima legislatura
dovrà affrontare tre compiti decisivi. Guidare l’economia fuori dalla crisi.
Ridare
autorità, efficienza e
prestigio alle istituzioni e alla politica, ripartendo dai principi della
Costituzione.
Rilanciare l’unità e l’integrazione
politica dell’Unione Europea.
Noi non crediamo alle
bugie delle promesse facili, quelle vendute nel decennio disastroso della
destra.
Crediamo, invece, in un
risveglio della fiducia, a cominciare dai giovani e dalle donne. I problemi
sono enormi e il tempo
per aggredirli si accorcia. Le scelte da compiere non sono semplici né
scontate.
Ma la speranza che ci
muove vive tutta nella convinzione che si possano combinare cambiamento
e affidabilità,
uguaglianza e rigore nelle scelte.
Il nostro posto è in
Europa. Noi collocheremo sempre più saldamente l’Italia nel cuore di un’Europa
da ripensare su basi
democratiche.
In “casa” dovremo
colmare la faglia che si è scavata tra cittadini e politica. Qui non bastano le
parole. Serviranno i
comportamenti, le azioni, le coerenze. Faremo in modo che buona politica e
riscossa
civica procedano
affiancate. Il traguardo è ricostruire quel patrimonio collettivo che la destra
e i populismi stanno
disgregando: la qualità della democrazia, la legalità, la cittadinanza, la
partecipazione.
La realtà è che mai come
oggi nessuno si salva da solo. E nessuno può stare bene davvero,
se gli altri continuano
a stare male: è questo il principio a base del nostro progetto, sia nella sfera
morale e civile che in
quella economica e sociale.
Vogliamo che il destino
dell’Italia sia figlio della migliore civiltà europea e vogliamo sentirci
vicino a
chi nel mondo si batte
per la libertà e l’emancipazione di ogni essere umano. Oggi, in un mondo
in subbuglio, pace,
cooperazione, accoglienza devono ispirare di nuovo l’agire politico. Nella
coscienza
delle donne e degli
uomini come nella diplomazia degli Stati.
Con questa visione noi,
democratici e progressisti, ci candidiamo alla guida dell’Italia.
Europa
La crisi che scuote il
mondo mette a rischio l’Europa e le sue conquiste di civiltà. Ma noi siamo l’Europa,
nel senso che da lì
viene la sola possibilità di salvare l’Italia: le sorti dell’integrazione
politica coincidono
largamente col nostro
destino. Non c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del
progetto
europeo. La prossima
maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa.
Per riuscirci agiremo in
due direzioni. In primo luogo, rafforzando la piattaforma dei progressisti
europei. Se l’austerità
e l’equilibrio dei conti pubblici, pur necessari, diventano un dogma e un
obiettivo
in sé – senza alcuna
attenzione per occupazione, investimenti, ricerca e formazione – finiscono
per negare se stessi.
Adesso c’è bisogno di correggere la rotta, accelerando l’integrazione politica,
economica e fiscale,
vera condizione di una difesa dell’Euro e di una riorganizzazione del nostro
modello sociale. In
secondo luogo, bisogna portare a compimento le promesse tradite della moneta
unica e integrare la più
grande area economica del pianeta in un modello di civiltà che nessun’altra
nazione o continente è
in grado di elaborare.
Salvare l’Europa nel
pieno della crisi significa condividere il governo dell’emergenza finanziaria
secondo
proposte concrete che
abbiamo da tempo avanzato assieme ai progressisti europei. Tali proposte
determinano una
prospettiva di coordinamento delle politiche economiche e fiscali. E dunque
nuove istituzioni
comuni, dotate di una legittimazione popolare e diretta. A questo fine i
progressisti
devono promuovere un
patto costituzionale con le principali famiglie politiche europee. Anche per
l’Europa, infatti, la
prossima sarà una legislatura costituente in cui il piano nazionale e quello
continentale
saranno intrecciati
stabilmente. Una legislatura nella quale l’orizzonte ideale degli Stati
Uniti d’Europa dovrà
iniziare ad acquistare concretezza in una nuova architettura istituzionale dell’eurozona.
Qui vive la ragione più
profonda che ci spinge a cercare un terreno di collaborazione con le forze
del centro liberale. Per
questo i democratici e i progressisti s’impegnano a promuovere un accordo
di legislatura con
queste forze, sulla base della loro ispirazione costituzionale ed europeista e
di una
responsabilità comune di
fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa
dovranno affrontare nei
prossimi anni. Collocare il progetto di governo italiano nel cuore della sfida
europea significa
costruire un progetto alternativo alle regressioni nazionaliste, anti-europee e
populiste,
da sempre incompatibili
con le radici di un’Europa democratica, aperta, inclusiva.
Democrazia
Dobbiamo sconfiggere l’ideologia
della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo solo
al comando. E’ una
strada che l’Italia ha già percorso, e sempre con esiti disastrosi. Per noi il
populismo
è il principale
avversario di una politica autenticamente popolare. In questi ultimi anni esso
è
stato alimentato da un
liberismo finanziario che ha lasciato i ceti meno abbienti in balia di un
mercato
senza regole. La destra
populista ha promesso una illusoria protezione dagli effetti del liberismo
finanziario innalzando
barriere culturali, territoriali e a volte xenofobe.
La sola vera risposta al
populismo è la partecipazione democratica. La crisi della democrazia non si
combatte con “meno” ma
con “più” democrazia. Più rispetto delle regole, una netta separazione
dei poteri, una vera
democrazia paritaria e l’applicazione corretta e integrale di quella
Costituzione
che rimane tra le più
belle e avanzate del mondo. Siamo convinti che il suo progetto di
trasformazione
civile, economica e
sociale sia vitale e per buona parte ancora da mettere in atto.
L'autonomia, la
responsabilità e la libertà femminile sono una leva per la crescita e una
risposta alla
crisi democratica. C'è
un nesso strettissimo tra il maschilismo e l'offesa alla dignità delle donne
incarnati
in questi anni dal
berlusconismo e il degrado delle istituzioni democratiche. Il riconoscimento
della soggettività
femminile e l’attuazione del principio della democrazia paritaria sono oggi
condizioni
essenziali per la
ricostruzione del Paese.
Vogliamo dare segnali
netti all’Italia onesta che cerca nelle istituzioni un alleato contro i
violenti, i
corruttori e chiunque si
appropri di risorse comuni mettendo a repentaglio il futuro degli altri. Per
noi ciò equivarrà alla
difesa intransigente del principio di legalità, a una lotta decisa all’evasione
fiscale,
al contrasto severo dei
reati contro l’ambiente, al rafforzamento della normativa contro la
corruzione e a un
sostegno più concreto agli organi inquirenti e agli amministratori impegnati
contro mafie e
criminalità, vero piombo nelle ali per l’intero Paese. Vogliamo contrastare
tutte le
mafie, reprimendone sia
l'azione criminale che l'immensa forza economica. La presenza dei capitali
mafiosi, a maggior
ragione in un momento di crisi, è un elemento devastante per ogni prospettiva
di rilancio del paese.
Va reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni rappresentanti
politici.
La rigorosa applicazione
del codice etico approvato dalla Commissione antimafia è per noi inderogabile
per le candidature a
tutti i livelli.
Sulla riforma dell’assetto
istituzionale, siamo favorevoli a un sistema parlamentare semplificato e
rafforzato, con un ruolo
incisivo del governo e la tutela della funzione di equilibrio assegnata al
Presidente della
Repubblica. Riformuleremo un federalismo responsabile e bene ordinato che
faccia
delle autonomie un punto
di forza dell’assetto democratico e unitario del Paese. Sono poi essenziali
norme stringenti in
materia di conflitto d’interessi, legislazione antitrust e libertà dell’informazione.
Daremo vita a un
percorso riformatore che assicuri concretezza e certezza di tempi alla funzione
costituente della
prossima legislatura.
Infine, ma non è l’ultima
delle priorità, la politica deve recuperare autorevolezza, promuovere il
rinnovamento,
ridurre i suoi costi e
la sua invadenza in ambiti che non le competono. Serve una politica
sobria perché se gli
italiani devono risparmiare, chi li governa deve farlo di più. A ogni livello
istituzionale
non sono accettabili
emolumenti superiori alla media europea. Ma anche questo non basta.
Va approvata una riforma
dei partiti, che alla riduzione del finanziamento pubblico affianchi una
legge di attuazione dell’articolo
49 della Costituzione, che assicuri la democrazia dei e nei partiti,
che devono riformarsi
per essere strumento dei cittadini e non luogo opaco di interessi particolari.
Bisogna agire per la
semplificazione e l’alleggerimento del sistema istituzionale e amministrativo.
Occorrono piani
industriali per ogni singola amministrazione pubblica al fine di produrre
efficienza
e risparmio. Riconoscere
il limite della politica e dei partiti significa anche aprire il campo alle
richieste
d’impegno e
mobilitazione che maturano nella società ed alle competenze che si affermano.
Tutto
ciò dovrà essere messo
in atto a cominciare dalle nomine in enti, società pubbliche e autorità di
sorveglianza e da
rinnovati criteri di selezione nelle funzioni di governo.
Lavoro
La nostra visione assume
il lavoro come parametro di tutte le politiche. Cuore del nostro progetto
è la dignità del
lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa.
Questa è
anche la premessa per
riconoscere la nuova natura del conflitto sociale. Fulcro di quel conflitto non
è più solo l’antagonismo
classico tra impresa e operai, ma il mondo complesso dei produttori, cioè
delle persone che
pensano, lavorano e fanno impresa. E questo perché anche lì, in quella dimensione
più ampia, si stanno
creando forme nuove di sfruttamento. Il tutto, ancora una volta, per garantire
guadagni e lussi alla
rendita finanziaria. Bisogna perciò costruire alleanze più vaste. La battaglia
per
la dignità e l’autonomia
del lavoro, infatti, riguarda oggi la lavoratrice precaria come l’operaio
sindacalizzato,
il piccolo imprenditore
o artigiano non meno dell’impiegato pubblico, il giovane professionista
sottopagato al pari dell’insegnante
o della ricercatrice universitaria.
Il primo passo da compiere
è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul
lavoro e sull’impresa,
attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari. Quello
successivo è contrastare
la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio e in
particolare l’idea di
una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che, rimasti
orfani della vecchia
pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare nella svalutazione e
svalorizzazione del
lavoro. Il terzo passo è spezzare la spirale perversa tra bassa produttività e
compressione
dei salari e dei
diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione,
punti storicamente
vulnerabili del nostro sistema. Quarto passo è mettere in campo
politiche fiscali a
sostegno dell’occupazione femminile, ancora adesso uno dei differenziali più
negativi
per la nostra economia,
in particolare al Sud. Serve un grande piano per aumentare e migliorare
l’occupazione femminile,
contrastare la disparità nei redditi e nelle carriere, sradicare i pregiudizi
sulla presenza delle
donne nel mondo del lavoro e delle professioni. A tale scopo è indispensabile
alleggerire la
distribuzione del carico di lavoro e di cura nella famiglia, sostenendo una
riforma del
welfare, politiche di
conciliazione e condivisione e varando un programma straordinario per la
diffusione
degli asili nido. Anche
grazie a politiche di questo tipo sarà possibile sostenere concretamente
le famiglie e favorire
una ripresa della natalità. Insomma sul punto non servono altre parole:
bisogna fare del tasso
di occupazione femminile e giovanile il misuratore primo dell’efficacia di
tutte
le nostre strategie.
Infine, il lavoro è oggi
per l’Italia lo snodo tra questione sociale e questione democratica. Fondare
sul lavoro e su una più
ampia democrazia nel lavoro la ricostruzione del Paese non è solo una scelta
economica, ma l’investimento
decisivo sulla qualità della nostra democrazia. Occorre una legge
sulla rappresentanza che
consenta l'esercizio effettivo della democrazia per chi lavora. Non possiamo
consentire né che si
continui con l'arbitrio della condotta di aziende che discriminano i
lavoratori,
né che ci sia una
rappresentanza sindacale che prescinda dal voto dei lavoratori sui contratti.
Uguaglianza
L’Italia è divenuta
negli anni uno dei Paesi più diseguali del mondo occidentale. La crisi stessa
trova
origine – negli Stati
Uniti come in Europa – da un aumento senza precedenti delle disuguaglianze.
E dunque esiste, da
tempo oramai, un problema enorme di redistribuzione che investe il rapporto
tra rendita e lavoro,
mettendo a rischio i fondamenti del welfare.
Sull’altro fronte, la
ricchezza finanziaria e immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace
com’è di sfuggire a ogni
vincolo fiscale e solidale. Non si esce dalla crisi se chi ha di più non è
chiamato
a dare di più. È la
crisi stessa a insegnarci che la giustizia sociale non è pensabile come
derivata
della crescita
economica, ma ne costituisce il presupposto. Ciò significa che la ripresa
economica richiede
politiche di contrasto
alla povertà, anche in un Paese come il nostro dove il fenomeno sta
assumendo caratteri
nuovi e dimensioni angoscianti. I “nuovi poveri”, per altro, continuano ad
assistere
allo scandalo di rendite
o emolumenti cresciuti a livelli indecenti, a ricchezze e proprietà smodate
che si sottraggono a
qualunque vincolo di solidarietà. A tutto questo bisogna finalmente
mettere un argine.
Per noi parlare di
uguaglianza significa guardare la società con gli occhi degli “ultimi”. Di
coloro
che per vivere faticano
il doppio: perché sono partiti da più indietro o da più lontano o perché sono
persone con disabilità.
Se poi guardiamo alle generazioni più giovani, il tema dell’uguaglianza si
presenta prima di tutto
come possibilità di scelta e parità delle condizioni di accesso alla
formazione,
al lavoro, a un’affermazione
piena e libera della loro personalità. Superare le disuguaglianze di genere
è indispensabile per
ricostruire il Paese su basi moderne e giuste. Non a caso, ancora una volta,
il simbolo più forte di
una riscossa civica e morale è venuto dal movimento delle donne. Su questo
piano la politica, il
Parlamento e il governo devono assumere la democrazia paritaria come traguardo
della democrazia tout
court.
Nessun discorso sull’uguaglianza
sta in piedi se non si rimette il Mezzogiorno al centro dell’agenda.
L’Italia è cresciuta
quando Sud e Nord hanno scelto di avanzare assieme. Viceversa quando la forbice
si è allargata, l’Italia
tutta si è distanziata dall’Europa. Sostenere, come la destra ha fatto per
anni,
che il Nord poteva
farcela da solo si è rivelato un grave errore, che ha impoverito il Sud e il
Nord insieme.
Tutt’altra cosa è combattere
sprechi e inefficienze con una nuova strategia nazionale d’intervento.
Il punto è farlo assieme
al senso di responsabilità di tante amministrazioni e movimenti
meridionali, per
correggere le storture di vecchi regionalismi e localismi clientelari e per
promuovere
legalità, civismo e
lavoro.
Infine, al capitolo dell’uguaglianza
è legata a filo doppio la questione di una giustizia civile e penale
al servizio del
cittadino. Su questo piano è superfluo ricordare che gli anni della destra al
governo
hanno sprangato ogni
spiraglio a un intervento riformatore. Diciamo che si sono occupati pochissimo
dello stato di diritto e
molto del diritto di uno soltanto che si riteneva proprietario dello Stato.
Ma così a pagare due
volte sono stati i cittadini più deboli: quelli che hanno davvero bisogno di
una giustizia civile e
penale rapida, imparziale, efficiente. Nella prossima legislatura il tema dovrà
essere affrontato dal
punto di vista della dignità e dei diritti di tutti e non più dei potenti alla
ricerca
d’impunità.
Libertà
Per noi libertà è
anzitutto la possibilità concreta per le giovani generazioni di costruire il
proprio
progetto di vita e
realizzare le proprie vocazioni. Il nostro progetto non sarà retoricamente per
i
giovani, ma dovrà essere
soprattutto di giovani. Quegli stessi che oggi, pur ricchi di talento ed
energie,
trovano le strade
sbarrate e sono sistematicamente esclusi.
Il tema del merito non
può essere contrapposto a quello dell’eguaglianza delle opportunità. Libertà
dei progetti di vita e valorizzazione
del merito sono i presupposti di una società più aperta ed eguale.
Attraverso l’introduzione
di misure più incisive, ciò deve valere nel campo delle professioni, della
scuola e dell’università,
dell’amministrazione pubblica e dell’impresa privata. Negli anni del
berlusconismo
l’appello alla libertà è
stato utilizzato a difesa di privilegi e vantaggi privati. Noi vogliamo
liberare le energie
della creatività e del merito individuale contro le chiusure corporative e
familistiche
della società italiana.
Consideriamo essenziali
il rispetto della libertà e della responsabilità delle donne. Occorre superare
gli aspetti
giuridicamente insostenibili della legge 40 in materia di procreazione assistita e
garantire
piena applicazione alla
legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Su temi che riguardano
la vita e morte delle persone, la politica deve coltivare il senso del proprio
limite e il legislatore
deve intervenire sempre sulla base di un principio di cautela e di laicità del
diritto. Per evitare i
guasti di un pericoloso “bipolarismo etico” che la destra ha perseguito in
questi
anni, è necessario
assumere come riferimento i principi scolpiti nella prima parte della nostra
Costituzione
e, a partire da quelli,
procedere alla ricerca di punti di equilibrio condivisi, fatte salve la
libertà di coscienza e l’inviolabilità
della persona nella sua dignità.
Sapere
La dignità del lavoro e
la lotta alle disuguaglianze s’incrociano nel primato delle politiche per l’istruzione
e la ricerca. Non c’è
futuro per l’Italia senza un contrasto alla caduta drammatica della domanda
d’istruzione registrata
negli ultimi anni. È qualcosa che trova espressione nell’abbandono
scolastico, nella
flessione delle iscrizioni alle nostre università, nella sfiducia dei ricercatori
e nella
demotivazione di un
corpo insegnante sottopagato e sempre meno riconosciuto nella sua funzione
sociale e culturale.
In questo caso più che
dalle tante indicazioni programmatiche, conviene partire da un principio:
nei prossimi anni, se vi
è un settore per il quale è giusto che altri ambiti rinuncino a qualcosa, è
quello della ricerca e
della formazione. Dalla scuola dell’infanzia e dell’obbligo alla secondaria e
all’università:
la sfida è avviare il
tempo di una società della formazione lunga e permanente che non
abbandoni nessuno lungo
la via della crescita, dell’aggiornamento, di possibili esigenze di mobilità.
Solo così, del resto, si
formano classi dirigenti all’altezza, e solo così il sapere riacquista la sua
fondamentale
carica di emancipazione
e realizzazione di sé.
A fronte di questo
impegno, garantiremo processi di riqualificazione e di rigore della spesa,
avendo
come riferimento il
grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi.
La scuola e l’università
italiane, già fiaccate da un quindicennio di riforme inconcludenti e
contraddittorie,
hanno ricevuto nell’ultima
stagione un colpo quasi letale. Ora si tratta di avviare un’opera
di ricostruzione vera e
propria. Nella prossima legislatura partiremo da un piano straordinario contro
la dispersione
scolastica, soprattutto nelle zone a più forte infiltrazione criminale, dal
varo di misure
operative per il diritto
allo studio, da un investimento sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e
a
più alto contenuto d’innovazione.
Tutto ciò nel quadro del valore universalistico della formazione,
della promozione della
ricerca scientifica e della ricerca di base in ambito umanistico.
Sviluppo sostenibile
Sviluppo sostenibile per
noi vuol dire valorizzare la carta più importante che possiamo giocare nella
globalizzazione, quella
del saper fare italiano. Se una chance abbiamo, è quella di una Italia che
sappia fare l’Italia. Da
sempre la nostra forza è stata quella di trasformare con il gusto, la
duttilità,
la tecnica e la
creatività, materie prime spesso acquistate all’estero.
Il decennio appena
trascorso è stato particolarmente pesante per il nostro sistema produttivo. L’ingresso
nell’euro e la fine
della svalutazione competitiva hanno prodotto, con la concorrenza della
rendita finanziaria, una
caduta degli investimenti in innovazione tecnologica e nella capitalizzazione
delle imprese, con l’aumento
dell’esportazione di capitali. Anche in questo caso è tempo di cambiare
spartito e ridare centralità
alla produzione. Una politica industriale “integralmente ecologica” è la
prima e più rilevante di
queste scelte.
Noi immaginiamo un
progetto-Paese che individui grandi aree d’investimento, di ricerca, di
innovazione
verso le quali orientare
il sistema delle imprese, nell’industria, nell’agricoltura e nei servizi.
La qualità e le
tipicità, mobilità sostenibile, risparmio ed efficienza energetica, le
tecnologie legate
alla salute, alla
cultura, all’arte, ai beni di valore storico e alla nostra tradizione, l’agenda
digitale.
Bisogna inoltre dare più
forza e prospettiva alle nostre piccole e medie imprese aiutandole a collegarsi
fra loro, a
capitalizzarsi, ad accedere alla ricerca e alla internazionalizzazione.
Beni comuni
Per noi salute,
istruzione, sicurezza, ambiente, sono campi dove, in via di principio, non deve
esserci
il povero né il ricco.
Perché sono beni indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti.
Sono
beni comuni – di tutti e
di ciascuno – e definiscono il grado di civiltà e democrazia del Paese.
I referendum del 2011
hanno affermato il principio dell’acqua come bene non privatizzabile. L’energia,
il patrimonio culturale
e del paesaggio, le infrastrutture dello sviluppo sostenibile, la rete dei
servizi di welfare e
formazione, sono beni che devono vivere in un quadro di programmazione,
regolazione
e controllo sulla
qualità delle prestazioni.
Per tutto questo,
introdurremo normative che definiscano i parametri della gestione pubblica o,
in
alternativa, i compiti
delle autorità di controllo a tutela delle finalità pubbliche dei servizi. In
ogni
caso non può venir meno
una responsabilità pubblica dei cicli e dei processi, che garantisca l’universalità
di accesso e la
sostenibilità nel lungo periodo.
La difesa dei beni
comuni è la risposta che la politica deve a un bisogno di comunità che è
tornato
a manifestarsi anche tra
noi. I referendum della primavera del 2011 ne sono stati un’espressione
fondamentale. È
tramontata l’idea che la privatizzazione e l’assenza di regole siano sempre e
comunque
la ricetta giusta. Non
si tratta per questo di tornare al vecchio statalismo o a una diffidenza
preventiva verso un
mercato regolato. Il punto è affermare l’idea che questi beni riguardano il
futuro
dei nostri figli e
chiedono pertanto una presa in carico da parte della comunità.
In questo disegno la
maggiore razionalità e la valorizzazione del tessuto degli enti locali sono
essenziali,
non solo per la funzione
regolativa che sono chiamati a svolgere, ma perché il presidio di
democrazia,
partecipazione e servizi che assicurano è in sé uno dei beni più preziosi per i
cittadini.
Superare le
duplicazioni, riqualificare la spesa, devono perciò accompagnarsi ad un nuovo e
rigoroso
investimento sul valore
dell’autogoverno locale che, soprattutto nella crisi, non va visto, così come
ha fatto la destra, come
una specie di malattia, ma piuttosto come una possibile medicina. A sua
volta l’autogoverno
locale deve offrire spazi e occasioni alla sussidiarietà, alle forme di
partecipazione
civica, ai protagonisti
del privato sociale e del volontariato.
Diritti
Il principio della
dignità inviolabile della persona e il rispetto dei diritti umani fondamentali
sono la
cornice generale entro
cui trovano posto tutte le nostre scelte di programma.
In particolare, noi ci
sentiamo al fianco della lotta di popoli interi per la difesa dei diritti
umani, a
iniziare da quelli delle
donne. Crediamo sia compito dei democratici e dei progressisti affermare
l’indivisibilità dei
diritti -politici, civili e sociali- e di farlo valorizzando il principio
costituzionale della
laicità dello Stato.
Nel nostro caso questo
significa l’impegno a perseguire il contrasto verso ogni violenza contro le
donne, un fenomeno che
affonda le sue radici in modelli inaccettabili del rapporto tra i generi e
che costituisce una vera
e propria violazione dei diritti umani.
Sul piano dei diritti di
cittadinanza l’Italia attende da troppo tempo una legge semplice ma
irrinunciabile:
un bambino, figlio d’immigrati,
nato e cresciuto in Italia, è un cittadino italiano. L’approvazione
di questa norma sarà
simbolicamente il primo atto che ci proponiamo di compiere nella
prossima legislatura.
Daremo sostanza
normativa al principio riconosciuto dalla Corte costituzionale, per il quale
una
coppia omosessuale ha
diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico.
È inoltre urgente una
legge contro l’omofobia.
Siamo per il rispetto
della vita umana e quindi vogliamo che la condizione dei detenuti sia
rispettosa
della Costituzione.
Responsabilità
L’Italia ha bisogno di
un governo e di una maggioranza stabili e coesi. Di conseguenza l’imperativo
che democratici e
progressisti hanno di fronte è quello dell’affidabilità e della responsabilità.
Per
questa ragione, nel
momento stesso in cui chiamiamo a stringere un patto di governo movimenti,
associazioni, liste
civiche, singole personalità e cittadini che condividono le linee di questo progetto,
vogliamo assumere
insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e vincolanti.
Le forze della
coalizione, in un quadro di lealtà e civiltà dei rapporti, si dovranno
impegnare a:
sostenere in modo leale
e per l’intero arco della legislatura l’azione del premier scelto con le
primarie;
affidare a chi avrà l’onere
e l’onore di guidare la maggioranza, la responsabilità di una composizione
del governo snella,
sottratta a logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza,
rinnovamento
e credibilità interna e
internazionale;
vincolare la risoluzione
di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una
votazione
a maggioranza
qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta;
assicurare la lealtà
istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro
Paese,
fino alla verifica
operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi in accordo con gli altri
governi;
appoggiare l’esecutivo
in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni
si renderanno necessarie
per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico
federale dell’eurozona.
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