Milano, come tutta la Lombardia, è l'area più industriale d'Italia e sono centinaia di migliaia gli immigrati meridionali, siciliani, napoletani, calabresi, pugliesi le cui famiglie sono variamente legate ad ambienti mafiosi. È la stessa struttura sociale nell'ambito meridionale che presuppone favori, scambi, raccomandazioni, clientele, fino alla più alta espressione della ricerca di benevolenza e complicità del potere con il voto. Per questo si parla di voto di scambio e, nella fattispecie, di 4mila voti comprati dai clan. Ma si tratta veramente di contiguità mafiosa del politico e di conseguente disponibilità all'illecito? Perché, se è vero che esiste un mercato di voti, questo non riguarda la Lombardia, con la conseguente indignazione retorica dell'allora ministro Maroni, ma riguarda gli ambienti malavitosi che operano a Milano, come a Roma, a Torino e in altre aree industriali, ricche e produttive del Paese. Ovviamente Milano non poteva essere con tante comunità di immigrati (e oggi anche cinesi) incontaminata dalla presenza di gruppi criminali diversamente connessi con parenti, amici, corregionali. Così ci possono essere a Milano cittadini meridionali provenienti da famiglie mafiose in aree fisiologicamente contaminate. Questi episodi sono inevitabili, ma la cultura e il corpo sociale della Lombardia restano estranei ai comportamenti, alla mentalità e alle relazioni sociali mafiosi. È importante questa distinzione perché le accuse indefinitamente contestate all'assessore arrestato non fanno riferimento a comportamenti o favori diversi da quelli di qualunque assessore rispetto al suo elettorato (una casa, un posto di lavoro), ma a un vero e proprio ricatto per ottenere denaro in cambio di voti. Quindi, non la disponibilità del politico nei confronti della mafia, ma della mafia nei confronti del politico in cambio di denaro, cosa certamente illecita, ma non corrispondente a una garantita disponibilità alle richieste dei mafiosi. L'assessore paga duecentomila euro, che è già un buon affare per la mafia, e il suo coinvolgimento si limita a garantire una casa Aler alla donna di un presunto 'ndranghetista e - impegno clamoroso (in cui non si capisce in cosa entri la funzione pubblica di un assessore) - il prolungamento del contratto da parrucchiera alla sorella del medesimo presunto mafioso. In qualunque luogo, in qualunque ambiente sociale, lavori di questa natura, come evidente, non avrebbero niente che fare con la mafia e non sarebbero riconducibili a nessun accordo criminale. Ma, adesso, a Milano, via Calabria la 'ndrangheta bisogna trovarla e attribuire alla sua influenza qualunque atto criminale o semplice favore e qui, nel caso di Milano, si apre un'altra riflessione: i voti avuti dall'assessore arrestato sono voti di cittadini liberi che possono decidere quello che vogliono e anche, se nessuno li costringe, a esprimere il loro voto non per persuasione interiore ma, tra rabbia e disprezzo, per una cifra pattuita, per una cena, per un piccolo dono. Potrà apparire immorale, ripugnante questo atteggiamento ma non è illegale. Si tratta di elettori liberi convinti da un vantaggio materiale più che da una convinzione personale, non diversamente da una moglie o da un figlio che seguono le indicazioni del marito o del padre. Ovunque vi sono voti legati a gruppi che agiscono per interessi comuni, anche materiali. Nelle comunità meridionali si tratta della riproduzione di un modello familiare, nucleo di pressione fondamentale in ogni paese. Ovunque si trova qualcuno che afferma di disporre, o millanta, di centinaia di voti. Dovremmo interdirli? O inibire loro di votare? L'assessore milanese, dalle intercettazioni appare piuttosto sottoposto a ricatto. I suoi interlocutori non sono soddisfatti del comportamento del politico che non salda i pagamenti. Difficile pretendere programmi, princìpi e idealità da Domenico Zambetti il quale avrà fatto promesse e dato danari secondo lo schema del voto di scambio. Difficile che i gruppi legati a lui potessero influenzarlo per appalti o infiltrazioni negli ambiti decisionali del potere. Come ogni politico Zambetti è favorito, tra l'altro in cambio di danaro, per cercare di ottenere posti di lavoro. In questo i calabresi, mafiosi o non mafiosi, non sono diversi dai toscani, dagli emiliani, dai piemontesi che sperano nei medesimi favori. Evocare la 'ndrangheta in Lombardia per questo episodio, utile a indebolire Formigoni, è come pensare che un professore universitario che garantisce la cattedra a un suo allievo è mafioso. Lo sarà anche ma in una misura che non viene considerata come organizzazione criminale. Della mafia si abusa per trasformare ladri di polli in pericolosi criminali. Stiano attenti i parrucchieri ad assumere dipendenti: potrebbe essere considerata una pericolosa manovra della 'ndrangheta...
Milano, come tutta la Lombardia, è l'area più industriale d'Italia e sono centinaia di migliaia gli immigrati meridionali, siciliani, napoletani, calabresi, pugliesi le cui famiglie sono variamente legate ad ambienti mafiosi. È la stessa struttura sociale nell'ambito meridionale che presuppone favori, scambi, raccomandazioni, clientele, fino alla più alta espressione della ricerca di benevolenza e complicità del potere con il voto. Per questo si parla di voto di scambio e, nella fattispecie, di 4mila voti comprati dai clan. Ma si tratta veramente di contiguità mafiosa del politico e di conseguente disponibilità all'illecito? Perché, se è vero che esiste un mercato di voti, questo non riguarda la Lombardia, con la conseguente indignazione retorica dell'allora ministro Maroni, ma riguarda gli ambienti malavitosi che operano a Milano, come a Roma, a Torino e in altre aree industriali, ricche e produttive del Paese. Ovviamente Milano non poteva essere con tante comunità di immigrati (e oggi anche cinesi) incontaminata dalla presenza di gruppi criminali diversamente connessi con parenti, amici, corregionali. Così ci possono essere a Milano cittadini meridionali provenienti da famiglie mafiose in aree fisiologicamente contaminate. Questi episodi sono inevitabili, ma la cultura e il corpo sociale della Lombardia restano estranei ai comportamenti, alla mentalità e alle relazioni sociali mafiosi. È importante questa distinzione perché le accuse indefinitamente contestate all'assessore arrestato non fanno riferimento a comportamenti o favori diversi da quelli di qualunque assessore rispetto al suo elettorato (una casa, un posto di lavoro), ma a un vero e proprio ricatto per ottenere denaro in cambio di voti. Quindi, non la disponibilità del politico nei confronti della mafia, ma della mafia nei confronti del politico in cambio di denaro, cosa certamente illecita, ma non corrispondente a una garantita disponibilità alle richieste dei mafiosi. L'assessore paga duecentomila euro, che è già un buon affare per la mafia, e il suo coinvolgimento si limita a garantire una casa Aler alla donna di un presunto 'ndranghetista e - impegno clamoroso (in cui non si capisce in cosa entri la funzione pubblica di un assessore) - il prolungamento del contratto da parrucchiera alla sorella del medesimo presunto mafioso. In qualunque luogo, in qualunque ambiente sociale, lavori di questa natura, come evidente, non avrebbero niente che fare con la mafia e non sarebbero riconducibili a nessun accordo criminale. Ma, adesso, a Milano, via Calabria la 'ndrangheta bisogna trovarla e attribuire alla sua influenza qualunque atto criminale o semplice favore e qui, nel caso di Milano, si apre un'altra riflessione: i voti avuti dall'assessore arrestato sono voti di cittadini liberi che possono decidere quello che vogliono e anche, se nessuno li costringe, a esprimere il loro voto non per persuasione interiore ma, tra rabbia e disprezzo, per una cifra pattuita, per una cena, per un piccolo dono. Potrà apparire immorale, ripugnante questo atteggiamento ma non è illegale. Si tratta di elettori liberi convinti da un vantaggio materiale più che da una convinzione personale, non diversamente da una moglie o da un figlio che seguono le indicazioni del marito o del padre. Ovunque vi sono voti legati a gruppi che agiscono per interessi comuni, anche materiali. Nelle comunità meridionali si tratta della riproduzione di un modello familiare, nucleo di pressione fondamentale in ogni paese. Ovunque si trova qualcuno che afferma di disporre, o millanta, di centinaia di voti. Dovremmo interdirli? O inibire loro di votare? L'assessore milanese, dalle intercettazioni appare piuttosto sottoposto a ricatto. I suoi interlocutori non sono soddisfatti del comportamento del politico che non salda i pagamenti. Difficile pretendere programmi, princìpi e idealità da Domenico Zambetti il quale avrà fatto promesse e dato danari secondo lo schema del voto di scambio. Difficile che i gruppi legati a lui potessero influenzarlo per appalti o infiltrazioni negli ambiti decisionali del potere. Come ogni politico Zambetti è favorito, tra l'altro in cambio di danaro, per cercare di ottenere posti di lavoro. In questo i calabresi, mafiosi o non mafiosi, non sono diversi dai toscani, dagli emiliani, dai piemontesi che sperano nei medesimi favori. Evocare la 'ndrangheta in Lombardia per questo episodio, utile a indebolire Formigoni, è come pensare che un professore universitario che garantisce la cattedra a un suo allievo è mafioso. Lo sarà anche ma in una misura che non viene considerata come organizzazione criminale. Della mafia si abusa per trasformare ladri di polli in pericolosi criminali. Stiano attenti i parrucchieri ad assumere dipendenti: potrebbe essere considerata una pericolosa manovra della 'ndrangheta...
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