Amagli ossimori, i paradossi e i soldi. Ne ha tanti: «Sono il terzo uomo più ricco d’Italia», assicura, citando una classifica che non riusciamo a rintracciare. Bisogna fidarsi: in fondo, tutta la conversazione si basa su questo credito. E si allarga un po’ a tutto, perché l’obiettivo è massimo: governare il Paese. Con un frasario che ammicca ovunque, corteggia l’effetto giornalistico («servirà un ventennio per sistemare le cose...»), e vola sopra le grandi questioni dell’Universo. Borges disse di certi argomenti: «Non ammettono la minima replica e non infondono la minima convinzione». Siamo da quelle parti, con Gianpiero Samorì.
Per questa chiacchierata è arrivato in elicottero da Modena, è un emiliano di Montese dov’è cresciuto fino quasi a regnare: 55 anni, pacato, è avvocato, docente di diritto penale all’Università di Bologna, possiede banche (ogni tanto le vende, ogni tanto le compra, ogni tanto le “scala”), giornali, tv, assicurazioni. Si capisce che Berlusconi lo ha battuto sul tempo, con 19 anni d’anticipo, e gli ha portato via anche il frasario, che infatti suona come già sentito: «Io amo il mio Paese. Davvero. Con Silvio mi incontro tutte le settimane, ma il mio è un progetto nuovo» che prova a farsi posto fra le macerie lasciate dal suo predecessore, con un partito che lascia ampie possibilità: «Moderati Italiani in Rivoluzione - Mir: abbiamo già 50 mila iscritti e sedi in tutti i capoloughi di regione». Questo è l’ossimoro.
Una sommaria biografia politica: era il vice di Dell’Utri nei circoli che furono il tessuto territoriale che avviò Forza Italia, e - con l’altro inciampato nella giustizia - molti credono che ne sia ancora una specie di volto rassicurante chiamato a resuscitare il sentimento berlusconiano. Per altri i rapporti sono rovinati e Samorì gioca «in proprio» la partita, con persone nuove: il tentativo di allacciarla al passato, come un lifting impossibile, sembra svanito, dopo l’adescamento di Verdini.
Lui cerca padri più nobili: «Ho fatto politica da ragazzo fino a 26 anni nella Dc, con la cosiddetta sinistra sociale (e anticomunista) di Donat Cattin. Ma non riuscivo a mantenermi e ho preferito studiare. Oggi sono ricco, soddisfatto, e voglio restituire qualcosa al Paese che mi ha realizzato ». L’ultimo filantropo che si è fatto avanti, ha rovinato il Paese che diceva di amare: «Non ho interessi personali da difendere e non sopporto questa situazione così deludente, specie sotto il profilo ideologico. Dunque eccomi: è un investimento enorme, a perdere (questi i soldi, ndr). Aumenteranno le spese e i nemici, l’esito è incerto. Non ho fatto sondaggi, mi fido dell’istinto». Uno sguardo intorno: «Grillo è stato utile per risvegliare le coscienze, manon ha idee costruttive. Mi piacciono le primarie del Pd: sono vere, qualificano e rafforzano quel partito mentre nel centrodestra manca tutto: progetto, strategia, persone».
E allora ecco questa specie di Forza Italia ruspante, artigianale, che considera «i borghesi arrabbiati», forse non abbastanza da fare la Rivoluzione, che poi è un succo già bevuto fino all’ultimo sorso: «Saremo i fautori del capitalismo perché è l’unica ideologia che può procedere con lo sviluppo, il benessere, la libertà e la democrazia». In un momento “storico” che ne mostra i limiti, il fiato corto, lui rovescia il discorso, con argomenti difficili da districare, avvitando insieme la causa con l’effetto: «In Italia i protagonisti del capitalismo sono bastonati: i lavoratori sono ridotti alla fame, e il sistema pretende che con i loro mille euro al mese diventino consumatori, per essere preda dei poteri forti. Le imprese sono distrutte di tasse e burocrazia. Tutti i vantaggi del sistema sono stati trasferiti ai ceti oligarchici e parassitari: questo non è capitalismo, ma la sua negazione». E questo è il paradosso.
«Se riusciamo a far passare questi messaggi, i nostri elettori sono ovunque». Rispetto a Berlusconi - scusate il forsennato paragone - è un convinto sostenitore della “macchina pubblica”, a patto che sia risanata, «solo così può funzionare»: «Lo sviluppo senza lo Stato è impossibile, ma il punto di partenza è rientrare dei mille miliardi di debito pubblico. Io so come fare». È l’annuncio di una deriva comunista: «Espropiando imiliardi destinati alle fondazioni, applicando una generosa patrimoniale ai super ricchi, che possono sacrificarsi. Chiedendo alla Banca d’Italia di mettere a disposizione 250 miliardi dalle sue riserve. Così ci siamo». I moderati in rivoluzione si conteranno a Chianciano, il 17 e 18 novembre, nel congresso fondativo, rimandato al tempo delle foglie morte, per vedere dove la stagione le poserà, perché ogni giorno soffia un vento nuovo oppure è lo stesso che ritorna, perché anche il vento fa il suo giro.
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