“Questo non è l’inizio. È la fine. Il culmine di una guerra secolare che presto crescerà e consumerà tutto. E’ l’apocalisse. Ed è in arrivo”. E’ questo il tenore dei contenuti di Dabiq, l’agghiacciante magazine pubblicato dallo Stato islamico in diverse lingue europee, tra cui l’inglese, che incornicia la guerra contro l’Occidente come la continuazione di una battaglia di civiltà.
“Tu invadi la penisola arabica, e Allah vi permetterà di conquistarla”, dice il secondo numero di Dabiq, chiamato The Flood. “Sarà quindi l’ora di invadere la Persia, e Allah vi permetterà di conquistarla. Sarà quindi l’ora di invadere Roma, e Allah vi permetterà di conquistarla. Poi si combattere il falso messia, e Allah vi permetterà di conquistare anche lui”.
Comprendere il fascino del messaggio, dicono gli analisti citati dal Washington Post, è la chiave per comprendere l’incredibile successo riscosso dai jihadisti dell’Isis nel reclutare seguaci, che si stima abbiano attirano finora 12.000 combattenti stranieri provenienti da 74 Paesi e nazioni.
Dabiq chiama gli occidentali “romani” o “crociati”. L’ideologia dello Stato islamico divide crudamente il mondo in due campi. Non vi è “nessun terzo campo presente”, Dabiq cita solo “il campo dell’Islam e della fede, e il campo di kufr (miscredenza) e dell’ipocrisia – il campo dei musulmani e dei mujahidin in tutto il mondo, e il campo degli ebrei, i crociati, loro alleati, e con loro il resto delle nazioni e religioni di kufr, il tutto guidato da America e Russia”.
La rivista trae gran parte del suo simbolismo dal suo nome, che deriva dall’omonima città settentrionale siriana. Nonostante le piccole dimensioni, Dabiq è di grande importanza storica e religiosa perché è lì, secondo lo Stato islamico, che si verificherà “una delle più grandi” battaglie tra l’Occidente e le forze dell’Islam.
Sarà l’Armageddon, il luogo dove alla fine dei tempi, secondo il Nuovo Testamento (Apocalisse 16,16), gli spiriti immondi raduneranno tutti i re della terra. La regione di Dabiq nel 1516 ospitò, tra l’altro, la battaglia finale tra Ottomani e Mamelucchi, vinta dai primi consolidando così l’ultimo califfato islamico riconosciuto.
In quasi 100 pagine che abbracciano tre numeri, la rivista pullula di immagini sgargianti. Immagini mostrano un militante mascherato in un contesto di fiamme e di un’arca in un mare agitato. Una presentazione, scrive il Post, che sembra uscita da un film di fantascienza o da un videogioco.
Secondo gli analisti americani Dabiq è un altro potente strumento a sostegno della strategia di reclutamento dell’Isis. Ci sono foto di cadaveri insanguinati, edifici distrutti e, forse la più inquietante, una grande sezione dedicata alla decapitazione del giornalista americano James Foley, che il magazine definisce una punizione per le violenze commesse dall’esercito degli Stati Uniti.
“Le famiglie musulmane sono state uccise sotto l’ampia definizione di danni collaterali”, si legge nel terzo numero della rivista. “Perciò, se un mujahid uccide un uomo con un coltello, si tratta di una barbara uccisione del “innocente”. Tuttavia, se gli americani uccidono migliaia di famiglie musulmane in tutto il mondo lanciando un missile, si tratta semplicemente di “danni collaterali”.
La rivista presenta lo Stato islamico come unica voce musulmana e, come tale, inevitabile nemico dell’Occidente. Questo può avere particolare risonanza nei paesi musulmani vicini, che sono popolati da molti residenti che pensano che l’Armageddon avverrà nel corso della loro vita. “Verrà un giorno”, scrive Dabiq, “quando il musulmano sarà ovunque, come un maestro, avendo l’onore di essere venerato, a testa alta e con la sua dignità preservata”.
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