C’è un’amarezza diffusa tra coloro che in passato si collocavano nel campo definito comunemente della destra, ma che andrebbe forse delimitato con più esattezza al filone del neofascismo, nel quale, per quanto variegato fosse, certo non si esaurivano tutte le destre possibili. Gli atteggiamenti che si riscontrano sono di vario tipo, ma tutti riconducibili all’immensa delusione subita nei vent’anni seguiti al cosiddetto «sdoganamento» e comunque alla mutazione del vecchio Msi, nostalgico e diffidente delle novità, nell’ambiziosa e modernizzante Alleanza nazionale.
Dopo due decenni di piena legittimazione e lunghe esperienze governative, il bilancio è tristemente negativo. Non stupisce che un ex militante missino anziano e irriducibile come Bruno Tomasich, nel pamphlet Lo svendennio (Settimo Sigillo), rifaccia il verso con indignato sarcasmo al libro Il ventennio (Rizzoli) di Gianfranco Fini, rimproverando all’ex leader di An e di Fli la profonda incoerenza del percorso politico che lo ha portato al fallimento. Su un piano meno personalistico, ma con altrettanta severità, Luigi Iannone addebita al gruppo dirigente di Alleanza nazionale, nel saggio Sull’inutilità della destra (Solfanelli), «una fiacchezza generalizzata sul piano della elaborazione strategica», che lo ha ridotto a praticare il piccolo cabotaggio, senza minimamente riflettere (figurarsi poi agire) sulla crisi del modello occidentale cui era ansioso di omologarsi.
Uno stato d’animo simile emerge implicitamente da opere di taglio diverso, quali Fronte della Gioventù di Alessandro Amorese (Eclettica), in cui l’autore ricostruisce l’evoluzione dell’ambiente giovanile missino, dal 1982 al 1994, rivendicando l’attualità delle tematiche movimentiste e innovative agitate in quel periodo di fermenti culturali, ma poi frettolosamente accantonate e dimenticate dopo l’approdo all’area governativa. Ma anche in un romanzo autobiografico come Vittoria (Giubilei Regnani) di Annalisa Terranova, giornalista del «Secolo d’Italia», il ricordo delle passioni che si coagulavano attorno all’identità neofascista nei anni di piombo, quando Roma era teatro di una strisciante guerriglia urbana, suona come un velato biasimo nei riguardi di chi ha disperso quel patrimonio.
Bisogna aggiungere però che la bancarotta della classe politica di origine neofascista, alla quale lo sforzo ricostruttivo di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia non pare in grado di rimediare, va inquadrato in una crisi più generale delle appartenenze politiche ereditate dal passato e rimodellate in occasione del passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica. Il terremoto delle scorse elezioni politiche ha lasciato segni indelebili, anche se il suo beneficiario principale, il Movimento 5 Stelle, sembra adesso avvitarsi senza costrutto.
Per essere più espliciti, i postcomunisti non paiono messi molto meglio dei postmissini, visto che nel Pd Matteo Renzi li ha ridotti al vassallaggio o all’irrilevanza minoritaria, mentre la sinistra ribelle alle compatibilità del capitalismo e ai vincoli europei sembra aver trovato il proprio leader nel segretario della Fiom Maurizio Landini, così come la destra anti-immigrati e antieuro tende a riconoscersi sempre più nel giovane e dinamico segretario leghista Matteo Salvini. Nel regno della politica mediatica, sotto l’effetto della globalizzazione, è in atto rimescolamento (del resto già preannunciato dai trionfi passati di Silvio Berlusconi) difficile da decifrare, ma che senza dubbio sta triturando i residui delle culture politiche ancora radicate nel Novecento.
Luigi Iannone, Sull’inutilità della destra, Solfanelli 2014, pagine 101, € 10
Bruno Tomasich, Lo svendennio. Dalla Fine di un Ventennio ai Fini di uno Svendennio, Settimo Sigillo 2014, pagine 287, € 22
Alessandro Amorese, Fronte della Gioventù. La destra che sognava la rivoluzione: la storia mai raccontata, Eclettica Edizioni 2013, pagine 515, € 20
Annalisa Terranova, Vittoria. Una storia degli anni Settanta, Giubilei Regnani 2014, pagine 234, € 16
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