Due milioni di firme, 515 mila per ciascuno dei quattro quesiti ai quali il «comitato Referendario Scuola Pubblica» ha consegnato la speranza di abrogare i pilastri della riforma più odiata del governo Renzi, dopo il Jobs Act. Sono state consegnate ieri in Cassazione, dopo un rinvio di due giorni rispetto alla data stabilita, il 5 luglio. «È slittata per il previsto imminente arrivo di numerosi altri moduli, grazie ai quali il numero complessivo di firme ha superato i 2 milioni – spiegano dal comitato – Andare oltre sarebbe stato controproducente perché le eventuali nuove firme non avrebbero minimamente compensato le tantissime raccolte su moduli vidimati nei primi giorni della campagna. Come è noto infatti, i moduli vidimati per la raccolta hanno validità tre mesi».
Il percorso di questa raccolta firme è stato in effetti lungo e laborioso. Dopo tre mesi dedicati alla raccolta i promotori si dicono soddisfatti: «è stato un ottimo lavoro – dicono – nei banchetti, nei luoghi di lavoro e nelle sedi dei sindacati e dei comitati, riscontrato in questi giorni di controllo e inscatolamento, nonostante le enormi difficoltà riscontrate, fa ben sperare per l’esito finale di questa campagna». Con il parere positivo delle autorità competenti si dovrebbe andare al voto nella primavera del 2017. Ma ci si prepara anche a scenari diversi: tutto dipende dall’esito del referendum costituzionale previsto ad ottobre (forse). L’«armageddon» chiamato, incautamente, da Matteo Renzi – un plebiscito sulla sua persona – potrebbe cambiare la tempistica. Oppure confermarla.
Abolizione dello «school bonus», dell’alternanza scuola-lavoro, del preside-manager e della valutazione del merito: questi i quesiti promossi dai sindacati Flc-Cgil, Cobas, Gilda, Unicobas, Sgb e Cub; studenti (Uds, Link) e associazioni (Lip scuola, Retescuole), tra gli altri.
Procede intanto il cammino della riforma ribattezzata «Cattiva Scuola». Ieri la novità: il governo, insieme ai sindacati confederali, sembra avere eliminato uno dei tratti più contestati della legge 107: la chiamata diretta del docente neo-assunto da parte del «preside manager». Saranno le scuole stesse ad individuare, fra i docenti presenti nel loro ambito territoriale, quelli più adatti, per profilo professionale, al loro progetto formativo. Per i sindacati significa che i docenti non vedranno «assegnarsi dall’alto il posto in base a meccanismi burocratici e non saranno scelti in modo arbitrario». Per un altro sindacato, l’Anief, «i docenti che si ritroveranno negli ambiti territoriali, perderanno in ogni caso la titolarità su scuola. Perché se è vero che non verranno più scelti, come sembra, in modo del tutto arbitrario dal dirigente scolastico, questo comunque avrà sempre facoltà di convocarli. E, a seconda dell’esito del colloquio, potrà capovolgere il punteggio derivante dai titoli presentati dagli stessi docenti attraverso il sistema Istanze on line». La distinzione è davvero sottile e tutta da interpretare, anche rispetto al referendum abrogativo.
Sono previste due procedure: una per i docenti già in cattedra che hanno chiesto la mobilità e che entro il 31 agosto prossimo dovranno conoscere la loro sede di destinazione. La seconda, da chiudere entro il 15 settembre, per i docenti che saranno immessi in ruolo quest’anno.
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