I cattolici si spaccano sullo Ius soli. Da un lato le istituzioni ecclesiali da sempre impegnate per garantire dignità e diritti a stranieri e migranti, come Caritas italiana, Acli, Fondazione Migrantes (Cei) e Centro Astalli, che sperano in una rapida approvazione del ddl per l’inclusione sociale e culturale di quelli che saranno «i nostri futuri cittadini». Dall’altro frange conservatrici e tradizionaliste, voce di una fetta numericamente poco rilevante ma risonante e agguerrita su social, blog e forum cattolici che lamentano un «abbassamento di profilo» della Chiesa sotto il pontificato di Francesco, che titolano i loro editoriali con frasi del tipo: “Lo ius soli è il vero razzismo” o “Se lo ius soli diventa legge ci alleveremo il terrore in casa”.
Al centro della querelle sul disegno di legge in discussione al Senato ricasca il tema dell’immigrazione, o meglio, dell’“invasione” degli stranieri che la norma incentiverebbe rischiando di mettere in discussione l’identità – e la cattolicità – di un intero Paese. «Lo Ius soli non ha un senso pratico: infatti, siamo già invasi, da anni, e lo siamo ogni giorno di più. Non c’è bisogno dello Ius soli per far entrare milioni di immigrati, né, specificamente, per far arricchire Ong varie di varia natura, e in particolare quelle pacifiste sinistrorse e quelle pseudo cattoliche (insieme alla criminalità organizzata, ovviamente)», scrive Massimo Viglione, saggista e filosofo, docente presso l’Università Europea di Roma, sulle pagine web di Radio Spada. Un portale che sulla home page si presenta come «sito di controinformazione che ritiene il Cattolicesimo Romano l’unica forma veridica ed efficace di antagonismo culturale, sociale e politico alla grave decadenza e alle pulsioni dissolutrici del mondo in cui viviamo».
«La portata dello Ius soli è immensa, ed è precipuamente ideologica. Occorre, ormai, a invasione in atto – nella tranquillità derivante dal fatto che nessuno si oppone veramente, nel senso concreto, pratico, ma anzi si ha l’appoggio pieno di interi settori della società, clero in primis – far passare nella mentalità generale il principio che se esiste l’Italia, non devono esistere più gli italiani. Si tratta insomma di costituire un nuovo “demos”», afferma il filosofo.
Ancor più duro l’articolo apparso sul sito Corrispondenza Romana, agenzia cattolica di informazione diretta dallo storico Roberto De Mattei, che pubblica (e sottoscrive) la lettera di un lettore che recita testualmente: «Se a giugno al Senato passa lo Ius Soli, possiamo chiudere baracca e burattini. Possiamo dire addio all’Italia. Avremo le seconde generazioni radicalizzate a farci la festa […] Sarebbe davvero il punto di non ritorno e la vittoria schiacciante e definitiva dell’immigrazionismo di massa. Ѐ l’ultimo boccone avvelenato del PD, dopo divorzio breve e simil-matrimonio sodomitico».
Punti di vista distanti anni luce da quelli di vescovi, religiosi e laici a capo degli organismi ecclesiali che invece plaudono a questo «grande passo verso una prospettiva che deve prendere definitivamente consapevolezza del fatto che la nostra è una società multiculturale e lo sarà sempre di più», come ha affermato alla Radio Vaticana Olivero Forti, responsabile per l’immigrazione della Caritas.
In prima linea per lo Ius soli c’è monsignor Giancarlo Perego, attuale vescovo di Ferrara, per otto anni direttore generale della Fondazione Migrantes, la “costola” della Cei che si occupa di accompagnare e sostenere le Chiese nella cura e nella difesa dei diritti dei migranti, italiani e stranieri.
Perego era già sceso in piazza al Pantheon di Roma, nel febbraio scorso, per la manifestazione promossa dai giovani del movimento #ItalianiSenzaCittadinanza, nato sui social per protestare contro la mancata approvazione della legge, ferma al Senato da più di un anno. Il ddl «latita», affermava il vescovo in quell’occasione, «si ha paura di esporsi politicamente, per una realtà che non farebbe che migliorare e facilitare i percorsi di partecipazione, d’integrazione».
Come direttore di Migrantes, Perego – insieme a Caritas e Acli - aveva aderito alla campagna “L’Italia sono anch’io”, che ha raccolto oltre 200.000 firme per allargare lo Ius soli e sollecitava a «superare paure, limitazioni, per condividere un atto politico intelligente che rappresenti la realtà dell’immigrazione oggi».
Tra questi poli diametralmente opposti nella galassia cattolica c’è chi si trova in mezzo, in una posizione che gli piace definire «più moderata» e lontana da certe «derive»: l’avvocato Simone Pillon, tra i membri del Comitato Difendiamo i nostri Figli promotore degli ultimi due Family Day di Roma.
«Jus Sola», ha scritto Pillon sulla sua seguitissima pagina Facebook, giocando con la parola romana “sola” usata per indicare una truffa, una fregatura. Perché? «Il mio punto di vista e che lo ius soli è una falsa risposta capace di illudere le persone, le masse, che denuncia ancora una volta la mancanza di qualsiasi strategia generale di gestire il fenomeno migratorio da parte del nostro governo», spiega al telefono.
«Oltre al fatto che la questione sulla cittadinanza agita il dibattito politico da anni, bisogna fare attenzione alle parole che usiamo perché una ragazza africana di 19 anni, incinta, si convince così a partire su quei terribili barconi per venire a partorire nel nostro Paese». Riflette l’avvocato: «Siamo sicuri che introdurre la divisione in cui i figli sono cittadini italiani mentre i loro genitori rimangono cittadini dei loro Paesi di appartenenza sia una buona idea che aiuta la coesione sociale?»
Peraltro, in Italia, «ci sono già delle leggi sul diritto alla cittadinanza. Non capisco perché bisogna modificarle». «Se proprio dobbiamo», propone Pillon, bisognerebbe «offrire percorsi privilegiati, più rapidi, non per i singoli ma per interi nuclei familiari che emigrano nel Paese». Perché «se uno è qua con la famiglia dà prova di stabilità temporale e professionale, è sicuro che non viene a spacciare droga, ad ingrossare le file della criminalità, a ciondolare nelle stazioni, ma a contribuire alla produttività del Paese».
Questo, chiarisce l’avvocato, «non significa che dobbiamo buttare i bambini nell’acqua sporca. Se c’è qualcuno da ospitare e da aiutare lo si fa, per carità, ma bisogna avere un equilibro di fondo e sapere anche che tanti villaggi in Centrafica o nell’Africa subsahariana sono sulla via della distruzione avendo perso le potenzialità produttive degli uomini e dei giovani e ospitando solo anziani e bambini. Me lo hanno riferito alcuni vescovi che sono disperati. Secondo sondaggi, tra qualche anno nei Paesi sottosviluppati ci saranno un miliardo e centomila persone che condurranno la loro vita senza dignità. Che facciamo li ospitiamo tutti?».
Il problema, quindi, non è tanto il “no” alla immigrazione ma «il diritto a non emigrare». «Non è questione di essere cristiano ma di essere in grado di affrontare con dovuta ampiezza di respiro un fenomeno epocale», sottolinea Pillon. E conclude: «Al di là di quello che dice una certa sinistra che attacca sul piano personale e morale chiunque non la pensi come loro, è molto più “morale” chi affronta l’immigrazione con responsabilità ottemperando le esigenze di tutti e soprattutto delle popolazioni in disagio, piuttosto che illudere persone e indurle nelle mani dei trafficanti per poi buttarle in cooperative gestite dai loro amici».
Nessun commento:
Posta un commento