l governo ordina il vade retro allo jus soli e trasforma anche l’amletico Pisapia in uomo della decisione. Conferire i diritti politici ai figli dei migranti appare un pericoloso salto nel buio. Per recuperare un pugno di voti in una competizione che annuncia il declino del Pd.
Così il partito di Renzi preferisce continuare a tollerare una sorta di apartheid civile che isola dal resto della comunità i figli dei migranti. Studiano, sognano, agiscono, lavorano, vivono nello stesso territorio dei cittadini normali ma non hanno diritti e quindi restano nell’ombra come soggetti minori.
Dinanzi a queste ordinarie prove di ingiustizia, nel centenario dell’Ottobre verrebbe da pronunciare il fatidico: perché non possiamo non dirci sovietici. Il paragrafo 20, sezione II, della costituzione sovietica sanciva: «In forza della solidarietà dei lavoratori di tutte le nazioni, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa accorda tutti i diritti politici dei cittadini russi agli stranieri che risiedano sul territorio della Repubblica Russa per ragioni di lavoro, e riconosce ai Soviet locali il diritto di accordare a tali stranieri i diritti della cittadinanza russa senza ulteriori difficoltose formalità».
Il corpo che lavora, per il costituzionalismo marxista, non ha differenze, non ha sangue né terra né dio come barriere che escludono tra loro i soggetti con il ricorso a «difficoltose formalità». Anche un giurista liberale come Hans Kelsen, mentre rimarcava le contraddizioni di un testo che legittimava il voto differenziato tra operai e contadini, e rilevava i costi elevati del dimagrimento dei diritti formali, riconosceva l’eccezionale apertura umanistica del documento di Lenin per quanto contemplava sul regime giuridico dello straniero.
Il corpo che lavora, per il costituzionalismo marxista, non ha differenze, non ha sangue né terra né dio come barriere che escludono tra loro i soggetti con il ricorso a «difficoltose formalità». Anche un giurista liberale come Hans Kelsen, mentre rimarcava le contraddizioni di un testo che legittimava il voto differenziato tra operai e contadini, e rilevava i costi elevati del dimagrimento dei diritti formali, riconosceva l’eccezionale apertura umanistica del documento di Lenin per quanto contemplava sul regime giuridico dello straniero.
A riguardo della sorprendente innovazione costituzionale dell’Ottobre, Kelsen precisò che si trattava «di un atto d’importanza storico-universale e di un forte passo verso la realizzazione politica del concetto –assolutamente democratico- di umanità». Il ponte tra classe e genere costruito dalle carte fondamentali del movimento socialista dava una prima sostanza giuridica e non puramente etica alla nozione comune di umanità.
A una meschina classe politica che costringe i richiedenti asilo a pratiche umilianti, andrebbe contrapposta la civiltà dell’articolo 21 della Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato: «La Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa concede diritto di asilo a tutti gli stranieri perseguitati per reati politici e religiosi». I corpi che lavorano devono godere dei diritti di cittadinanza e i richiedenti asilo non possono essere trattati come derelitti umani da aiutare a casa loro.
Quando il ministro più popolare del governo Pd si vanta di aver bloccato il 40 per cento dei flussi migratori, grazie ai campi generosamente offerti dalle milizie libiche, andrebbero riproposte le pagine di Kant sul diritto universale di ospitalità («il diritto di uno straniero che arriva sul territorio di un altro Stato di non essere da questo trattato ostilmente»).
In un mondo che con le navi e il cammello mette in comunicazione territori e mescola culture, Kant critica la pretesa di far valere il diritto di movimento solo come prerogativa delle imprese commerciali e come giustificazione della condotta corsara degli «Stati che ostentano una grande religiosità». Le potenze dell’Europa hanno condotto politiche di conquista nel postulato che le terre lontane fossero “terre di nessuno” disponibili all’appropriazione delle monarchie cristiano-borghesi. Con il pretesto che le terre lontane fossero res nullius, e quindi «non facendo essi calcolo alcuno degli indigeni», l’occidente ha ordinato violenze, oppressione. Kant denuncia «la più crudele schiavitù che sia stata mai immaginata».
I traffici, le interconnessioni, le comunicazioni non possono incentivare il movimento delle cose e poi bloccare la circolazione delle persone. Kant riflette perciò su «un diritto di visita, spettante a tutti gli uomini, cioè di entrare a far parte della società in virtù del diritto comune alla superficie della terra, sulla quale, essendo sferica, gli uomini non possono disperdersi isolandosi all’infinito, ma devono da ultimo rassegnarsi a incontrarsi e a coesistere». Quando, nel cuore dell’occidente, tornano in discussione diritti di civiltà, si ripresenta in forma aggiornata «la condotta inospitale degli Stati civili, soprattutto degli Stati commerciali del nostro continente».
Dinanzi a un ministro che reclama il successo degli accordi con gli aguzzini libici, andrebbe recuperato il senso profondo dell’assioma di Kant per cui «la violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti». Dinanzi a certe aperture, non resta che aggiungere, al riconoscimento della civiltà dell’Ottobre, un ulteriore omaggio (non bisogna essere settari) a un classico del pensiero liberale, per cui non possiamo non dirci kantiani. Una sinistra che sta rinascendo, nel segno della reintroduzione di qualcosa di rosso nella decadente politica italiana, dovrebbe raccogliere i punti elevati del costituzionalismo liberale e marxista.
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