Uno dei timori principali era quello di creare paura. Le istituzioni che si occupavano delle prime fasi dell’emergenza Covid, tra febbraio e marzo 2020, soprattutto in Lombardia, erano terrorizzate da un’eventualità: il panico collettivo. Si capisce bene dalle chat acquisite nell’ambito delle indagini della Procura di Bergamo.
Il 3 marzo 2020, per esempio, alle 16.26, l’assessore al Welfare della Regione, Giulio Gallera, è furioso con la direttrice generale dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, Maria Beatrice Stasi. «Un bimbo di un anno in terapia intensiva??? Dare questa notizia è devastante», le scrive. C’era stata una conferenza stampa, per fare il punto sull’epidemia. «Chi l’ha data??? Vi abbiamo detto allo sfinimento di non dare numeri!!!».
La direttrice si dispiace: «Purtroppo la grande pressione che i numeri hanno evidenziato su Bergamo ha comportato anche un notevole stress dei media su di noi». Il bimbo è in terapia neonatale, non è grave ma la notizia colpisce. L’assessore pensa all’impatto mediatico: «Un bambino in terapia neonatale domani è l’apertura dei giornali nazionali. Notizia devastante. Licenzia l’addetta stampa!!!», dice alla dg Stasi. Il giorno dopo, 4 marzo, la direzione generale dell’assessorato di Gallera, vietò alla direzioni ospedaliere di organizzare conferenze stampa. La responsabile comunicazione a Bergamo era Vanna Toninelli, che ha seguito la fase più complessa legata alla pandemia. Da agosto 2020 non lavora più al Papa Giovanni: si è dimessa per un altro incarico.
I video dalla Cina
Il dg della Prevenzione del ministero della Salute Giovanni Rezza, allora all’Iss, sembra capire l’imminente pericolo il 22 gennaio 2020, dai video di uno studente cinese di Roma, la cui famiglia vive nella zona di Wuhan: «I video, se veri, sono impressionanti. (...) Se questa è la situazione forse bisogna preoccuparsi», scrive a Silvio Brusaferro il giorno dopo. Sentito a Roma dai pm Rezza racconta del paziente 1. «La dottoressa Gramegna, di Regione Lombardia, mi ha chiamato la notte tra il 20 e il 21 febbraio 2020, dicendo di avere un caso positivo a Codogno». Tre giorni dopo, non ci fu alcuna chiamata immediata, invece, dopo i primi due casi di Alzano. «I colleghi che rientrarono dalla Lombardia la sera del 23 febbraio non avevano rilevato l’esistenza di casi positivi in quell’area».
Nelle chat anche l’evoluzione di tutto l’affaire mascherine: il 28 e 29 febbraio, l’1 e il 2 marzo i giorni caldi. Le ffp2 e ffp3 sono esaurite ma le linee guida ministeriali le ritengono necessarie per i medici. La Lombardia chiede di sdoganare le mascherine chirurgiche. A insistere con Roma è in particolare Luigi Cajazzo, direttore del Welfare, ma la modifica delle linee guida non arriva: «Nell’ultima ora ho parlato con Brusaferro, Borrelli, Ruocco… — scrive Cajazzo a Gallera l’1 marzo —. Secondo Ruocco c’è norma pronta. Ma Borrelli mi dà versione diversa e Brusaferro pontifica. Io mi sono incazzato e ho detto che da oggi comincio a chiudere ospedali». La mattina del 2 si arriva a una soluzione. Le mascherine chirurgiche furono sdoganate per gli ospedali per una questione di necessità, contrariamente alle indicazioni ministeriali, sfruttando un parere dell’Oms.
Nembro e Luna Rossa
Ma il mondo produttivo si oppose davvero alla zona rossa a Nembro e Alzano? A Nembro c’è la Persico, 600 dipendenti: entro ottobre 2020 doveva consegnare il nuovo scafo di Luna Rossa. Il 3 giugno il patron Pierino Persico dice ai pm: «Non ho esercitato alcuna pressione per non fare istituire la zona rossa» ma «ho semplicemente espresso le mie preoccupazioni, atteso che se non consegnavo i materiali sarei stato soggetto a danni milionari e a conseguenze occupazionali».
Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori , sentito dai pm, ha raccontato di aver raccolto un duro sfogo di Persico secondo il quale «in questo modo (con le chiusure, ndr) sarebbe andato in sostanza “in fumo” il lavoro di un’azienda presente sul mercato da 50 anni». Una preoccupazione manifestata anche a Marco Bonometti, il presidente di Confindustria Lombardia, che però ha sostenuto di aver parlato con l’imprenditore di Nembro solo di una zona rossa allargata a tutta la Lombardia. E a domanda, se avesse chiesto al governatore Attilio Fontana di attivarsi per evitare certe scelte: «Sì, gliel’ho chiesto. Regione Lombardia era d’accordo con noi nel non istituire le zone rosse ma nel limitare le chiusure alle sole aziende non essenziali».
«Niente ventilatori»
Il 4 marzo 2020, il ministero fa una stima dei costi per l’acquisto di apparecchiature di ventilazione assistita per le terapie intensive. «In ritardo», annota la Gdf, perché in Lombardia ci sono già 1.820 contagiati e 73 morti. L’Abruzzo non era l’area più devastata, ma il 10 marzo il presidente del Consiglio regionale Giovanni Legnini lancia l’allarme per i ventilatori. Si ripete anche 11 giorni dopo e a rispondergli è il capo di gabinetto del ministero della Salute, Goffredo Zaccardi: «Ventilatori non ci sono. Lunedì sera forse atterra un carico dalla Cina e vediamo che cosa c’è dentro». La dura realtà la spiega Andrea Urbani, che guida la Programmazione al ministero: «Stiamo privilegiando le regioni più colpite».
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