sabato 8 marzo 2025

POLIZIA COSTITUZIONE GOVERNO. MENAFRA C., Il libro sulla polizia e i governi: «Oggi la vicinanza è più sfacciata» Intervista con M. Di Giorgio, DOMANI, 8.03.2025

 La storia dei governi in Italia è intrecciata con quella delle forze di polizia, spesso considerate dalla politica strumenti di gestione del potere. Ancora oggi questo legame rimane ambiguo, mentre a livello interno i corpi non hanno ancora del tutto cancellato residui antidemocratici.


Sono dinamiche indagate in Il braccio armato del potere. Storia e idee per conoscere la polizia italiana (Nottetempo, 276 pagine) di Michele Di Giorgio, che analizza dal punto di vista sociologico il rapporto tra forze di polizia e governi.

Dal libro emerge come a partire dalla riunificazione d’Italia i corpi di polizia siano stati più impegnati a difendere i governi che a mantenere la sicurezza dei cittadini.

La causa si trova nella fragilità dell’Italia postunitaria, caratterizzata dalla scarsa legittimità popolare di quella classe politica. Poi il fascismo ha operato un perfezionamento in senso repressivo. Anche dopo la Seconda guerra mondiale il peso della guerra fredda spinse la Democrazia cristiana a esercitare uno stretto controllo sugli apparati di sicurezza, in funzione anticomunista. Nonostante il nuovo clima costituzionale, il nuovo stato democratico non operò una riforma profonda delle polizie ereditate dal regime e così, fino agli anni Ottanta, le istituzioni poliziesche sono state utilizzate in modo distorto dal controllo politico.

L’Italia è descritta anche come «il Paese delle cinque polizie», con mansioni che ancora oggi si sovrappongono. Come spiega questa proliferazione dei corpi?

Nell’Italia liberale i due corpi di polizia principali erano espressioni di due anime diverse: i carabinieri erano un corpo dell’esercito, una “gendarmeria” legata alla monarchia, gelosa custode delle sue tradizioni militari; la pubblica sicurezza nasceva invece come polizia civile, fortemente legata alle élite borghesi e alle classi dirigenti della neonata Italia liberale. A questi si sono poi aggiunti la guardia di finanza, con compiti di controllo delle frontiere e di polizia tributaria; gli agenti di custodia per la sorveglianza delle carceri e l’antenato di quello che poi è diventato il corpo forestale dello Stato. Nel corso della storia carabinieri, polizia e finanza hanno esteso le loro competenze invadendo i rispettivi campi, senza che la politica sia riuscita a perimetrarli.

Dall’età liberale al fascismo, fino ai fatti del G8 di Genova, le violenze repressive e gli abusi durante le manifestazioni di piazza hanno caratterizzato la storia delle forze dell’ordine. Che cosa, nella formazione dei corpi di polizia, rischia di far germinare questa violenza?

Più che sulla cultura dei corpi di polizia, bisognerebbe riflettere su come le polizie vengono utilizzate da chi detiene il potere. Sono gli indirizzi politici e l’utilizzo che i governi fanno delle polizie a creare e a favorire le condizioni in cui avvengono abusi, violenze e torture. Un residuo di mentalità autoritaria non è mai scomparso nelle istituzioni di polizia perché non c’è mai stata una chiara volontà politica di chiudere con determinate pratiche. Né ci saranno miglioramenti, fin tanto che la classe politica continuerà a trattare le questioni sociali, anche quelle più complesse, solo come un problema di ordine pubblico. Fino a quando il potere utilizzerà le polizie come strumento “di pulizia” o come ammortizzatore sociale contro una parte della società, esisterà sempre terreno fertile per lo sviluppo di culture autoritarie, e di conseguenza lo spazio per le violenze.

Perché ancora oggi si fa fatica a superare questo condizionamento da parte della politica delle forze di polizia, sia da destra che da sinistra? A chi fa comodo?

Il rapporto tra politica e polizia è progressivamente cambiato, perché sono cambiate le istituzioni poliziesche, gli attori politici e il Paese. La Pubblica Sicurezza è stata riformata a partire dal 1981, il partito che ha presidiato il Ministero dell'Interno dal 1947 al 1993, la Democrazia Cristiana, non esiste più da trent'anni e in questo lasso di tempo la società ha conosciuto trasformazioni profonde. Questo non significa che la vicinanza tra i partiti al governo e le forze di polizia si sia attenuata, tutt'altro. Ciò che è progressivamente venuto meno, invece, è la capacità nelle forze politiche di sinistra di esprimere una visione diversa della sicurezza e della gestione delle polizie. Le destre invece continuano come e più che in passato a cavalcare politiche di legge e ordine, se immaginassero qualcosa di diverso verrebbe meno buona metà del loro programma politico.

Pensa che questa logica sia peggiorata con l’attuale governo, che ha fatto dell'ordine un punto forte della sua campagna elettorale?

Polizia e percezione della sicurezza sono questioni su cui si costruiscono pezzi importanti delle campagne elettorali, sia a destra che a sinistra. Di inedito nell'operato di questo governo c'è il tentativo, molto più sfacciato rispetto al passato, di garantirsi la vicinanza, la simpatia e il futuro consenso elettorale di gran parte del comparto sicurezza e anche delle forze armate. Esattamente come è stato fatto senza troppe remore con altre particolari clientele elettorali, come i tassisti balneari. Basta leggere il disegno di legge 1660, l'ennesimo "decreto sicurezza", per notare come il governo abbia fatto un salto di qualità nella strategia di raccolta del consenso in questo settore delicatissimo. Si tratta di un provvedimento di forte carattere corporativo, che assicura un livello di protezione inedito alle forze di polizia e, possiamo dirlo senza problemi, punta a fornire una ben più vasta garanzia di impunità.

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