Forse perché figurava nella propaganda mussoliniana, per cui l'esclamazione era la marca stessa della sua intonazione sonora e visiva. Pur nella concitazione delle campagne elettorali del dopoguerra Togliatti e De Gasperi evitavano di usare il corpo e i gesti, oltre le esclamazioni, per convincere, o rassicurare, i propri simpatizzanti, o militanti. Personaggi pacati - Togliatti secondo Italo Calvino manifestava una "assenza di nervi" -, per i due leader carismatici del dopoguerra la pacatezza valeva più di ogni altra cosa, mentre il punto esclamativo, come dicono i linguisti, è indice evidente d'agitazione. Erano dei professori o, come è stato detto, topi di biblioteca. Ve lo figurate voi Renzi con gli occhiali? Se anche avesse un deficit visivo, ricorrerebbe alle lenti a contatto. Gli si addice infatti il volto sgombro, con la sua facciona rosea, la corporatura robusta, un poco rotondetta, nonostante qualche dieta dimagrante. Non vuole essere, né lo è, un intellettuale; non ne reca alcun segno specifico, anche se gli piace circondarsi di scrittori, intellettuali: il pensatoio. Renzi vive in un'epoca post-berlusconiana, in cui la politica si fa con la concitazione e soprattutto con il look.
Non ha il look da creativo, come Marchionne, tutto maglioncino e sciarpetta, o la barba incolta; Matteo è glabro, ben sbarbato. L'aspirante segretario esprime piuttosto il tipo dell'italiano medio così come si è manifestato nello stereotipo cinematografico degli ultimi vent'anni, cinepanettoni compresi: volto aperto, casareccio. Finito il proletariato operaio, in canottiera, tuta blu, basco, ecco apparire l'uomo in braghe corte, appena sopra il ginocchio, scarpe sportive, camicia fuori dai calzoni, e magari un paio d'infradito nei piedi, di cui Bossi ci ha fornito un esempio populista e sbracato. Renzi alterna perciò la divisa da sindaco -giacca e cravatta di un unico colore - che esprime eleganza, ufficialità, coerenza, con quella più informale del giovane leone, che tiene aperta la camicia bianca sul petto di due bottoni quale segno di libertà e spensieratezza. Ha qualcosa del guascone, ma non troppo, perché è pur sempre un rappresentante delle istituzioni, che sa mettersi "comodo" fuori dai contesti cerimoniali.
Ha acquisito la lezione berlusconiana della informalità formale: farfallino e jeans, frac e T-shirt, tuta e cravatta. E' anche un uomo post-ecologista, che inforca la bicicletta, e si fa fotografare mentre guida una ruspa piuttosto che una fuoriserie: sportivo, casual, mai solenne. E' in posa, anche se la sua è la posa di non aver posa: spontaneità glamour. La giovinezza è la sua arma migliore. Una giovinezza che è più alla Kennedy che non alla Obama, designata dal ciuffo (anche se nella sua prima campagna elettorale il presidente americano si è avvalorato per il suo stile alla Kennedy, con moglie e figlie). La giovinezza del competitor di Bersani è quella del bamboccione che ce l'ha fatta, che ha trovato un lavoro, che è diventato sindaco, ma che è pur sempre uno-di-noi, un ragazzo che ha fatto carriera e che ora vuole dare - o restituire - ai suoi elettori (i coetanei) quello che gli spetta. L'epica del dono è uno dei motivi sottotraccia della sua campagna elettorale, in questo perfettamente a suo agio in un'epoca post-berlusconiana che non ritorna al passato, come propone l'etica di Mario Monti, una sorta di austerità imposta dalla razionalità dei mercati, piuttosto che dal francescanesimo berlingueriano e comunista. Renzi vuole andare avanti, o almeno così lascia intendere, e non ha davvero dei modelli certi né nel look né nella politica. Assembla, mescola, ibrida, congiunge, nello stile e nelle parole
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