mercoledì 5 settembre 2012

MOVIMENTI, PARTITI E IDEE POLITICHE IN ITALIA. MANOVRE INTERNE AL PD. DE MARCHIS G., Il 'grande patto' dei maggiorenti, l'organigramma che blinda i big del PD, LA REPUBBLICA, 5 settembre 2012

Lo schema prevede Bersani premier, Veltroni alla presidenza della Camera e D'Alema ministro. E' più sicuro se si evitano le primarie e lo scontro con il sindaco Renzi. L'accordo sta garantendo una tregua nel partito tra i big. Franceschini verso la segreteria, Fioroni e Bindi al
governo. Il nodo del Quirinale




ROMA - Il patto di potere tra i big a cui si riferisce Matteo Renzi è anche l'organigramma dell'ultimo giro. È la spartizione di poltrone dei "vecchi", come si evince chiaramente dalle parole del trenta-quarantenne Matteo Orfini, unito al sindaco di Firenze solo dalla voglia non di mandare tutti a casa ma di non vederli più in prima fila. "Nessuno ex ministro dovrà tornare al governo nel 2013", avverte Orfini facendo capire che molti invece scaldano i muscoli. Ma anche Antonello Soro, prudente e navigato ex capogruppo del Pd alla Camera ora transitato all'authority per la privacy, descriveva, alla vigilia dell'estate, una futuribile divisione dei compiti: "Franceschini spera nella presidenza della Camera, ma per quel posto è in corsa Veltroni. A Dario daranno la segreteria del Pd".

Qualcosa più di una voce, dunque. Qualcosa, anzi molto meno di un patto blindato che sarebbe comunque sottoposto a un numero infinito di variabili, la prima della quale non è irrilevante: vincere le elezioni e gestire il ricambio di governo. In questo caso, quello che il Foglio ha chiamato "papello" ma che in realtà è vero un toto-poltrone, disegna così l'Italia del 2013. Pier Luigi Bersani premier, Rosy Bindi vicepremier, Veltroni presidente della Camera, D'Alema ministro degli Esteri o commissario europeo, Franceschini segretario del Pd, Fioroni ministro. Secondo Renzi questo tipo di intesa spiega l'insolita assenza di litigiosità tra le correnti democratiche.
E sta alla base, per esempio, dell'equidistanza di Veltroni sulle primarie mentre gran parte dei veltroniani riconoscono nel sindaco di Firenze il vero erede del programma illustrato al Lingotto nel 2007. Ma la pianificazione a tavolino è reale? Pur coinvolto direttamente, sono mesi che Beppe Fioroni mette in guardia i suoi colleghi dalla sindrome dell'ultimo giro. "E se alla fine ci spazzassero via tutti?", dice.

In nome di quell'organigramma, si alzerebbero anche le dichiarazioni di chi vorrebbe evitare le primarie. La Bindi (pronta a correre nella complicata gara per il Quirinale) dice che non sa se si faranno, lo stesso Fioroni chiede a Renzi di dimettersi da sindaco se davvero ha intenzione di correre, Veltroni - che in subordine potrebbe approdare ad un "megaministero" per i Beni culturali e le Comunicazioni - vuole capire "primarie per cosa". Il duello interno come grimaldello per rinnovare il partito e soprattutto far saltare "l'organigramma", insomma. È così? Orfini le interpreta anche in questa chiave: "È chiarissimo perché qualcuno non le vuole. Scompaginano antiche consuetudini, rimettono in discussione big senza voti. Ma sono utili proprio per questo. Le primarie tra Renzi e Bersani si devono fare. Pier Luigi le vincerà". Con quali garanzie per i dirigenti più esperti?

Domande, dubbi, timori. Persino qualche ironia sulla recensione fatta da D'Alema sull'Unità al nuovo libro di Veltroni: sarebbe un'altra prova dell'entente cordiale. Sulle indiscrezioni, sullo scontro generazionale, sulle insinuazioni di cui "l'organigramma" fa parte a pieno titolo perché tira in ballo nomi molto conosciuti, Bersani rischia di vedere spaccarsi il partito. Orfini sa essere diretto come un cazzotto: "Il segretario uscirà da candidato premier nella sfida con Renzi. Ma io sarei ancora più sicuro della vittoria se fosse uno scontro diretto tra i due. Temo che il sostegno dei notabili a Pier Luigi si trasformi in una zavorra". È Bersani a dover sbrogliare la matassa di questo incredibile caso. Il leader ha già annunciato un ricambio robusto delle liste per il Parlamento e ha spiegato la sua alchimia per un eventuale governo di centrosinistra. "Qualche presidio di esperienza e tanti volti nuovi come ministri", ha spiegato. Un identikit e non un organigramma. Da sempre Bersani è uno dei dirigenti democratici più attenti ai giovani. Ha creato una segreteria di quarantenni, "scopre" ragazzi sui territori e li appunta su un quaderno, non gli dispiace l'idea di avviare una ristrutturazione del centrosinistra per lasciare spazio al nuovo. Ma, come dice D'Alema, Bersani deve anche tenere unito il partito. E da qualche giorno, vedendo allargarsi la polemica generazionale, insiste sul tasto in ogni occasione, in ogni festa democratica. "Non dimentichiamoci di chi ci ha portato fin qui". Che sono gli stessi che lo hanno portato alla segreteria nel congresso del 2009. Bindi gli ha chiesto di fermare la deriva del duello a distanza sull'età, gli anni in Parlamento, il limite dei mandati, gli "editti" di Renzi o di Orfini, l'epurazioni a mezzo stampa. Bersani farà chiarezza. Ma senza prendere la bandiera di una o dell'altra squadra. Sapendo che il rinnovamento potrebbe essere dettato dall'esterno. Dalle liste di Grillo, dai giovani che sceglierà Nichi Vendola per il suo partito, dalle mosse di Berlusconi.

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