venerdì 29 marzo 2013

FRA TEOLOGIA E POLITICA. L'ULTIMO LIBRO DI MASSIMO CACCIARI, INTERVISTA DI GIUSEPPE SALVAGGIUOLO,Massimo Cacciari “Politica e Chiesa non sanno più contenere il male”, LA STAMPA, 29 marzo 2013


“I partiti da venticinque anni hanno smesso di filtrare i fermenti eversivi
L’Anticristo è ovunque, anche nel Tempio”


E’ stato un percorso lungo». All’inizio degli Anni 70, il giovane Massimo Cacciari scopre gli scritti politici di Carl Schmitt. Incontro fondamentale, «perché non si comprende nulla della storia europea senza fare i conti con questo scandalo che è Schmitt». Percorrendo lo scandalo, Cacciari s’imbatte nel katechon, figura centrale del suo ultimo libro, Il potere che frena (Adelphi). Da san Paolo a Smith, passando per Agostino, Dante, Dostoevsky e, «tra diecimila virgolette», Ratzinger e Grillo.

Che cos’è il katechon?
«E’ il potere che frena-trattiene-contiene. E’ una figura in cui s’intrecciano motivi politici, anche di attualità tra diecimila virgolette, e filosofici-teologici».

Qual è la sua chiave di lettura?
«Diversa e polemica con Schmitt. Per lui è la forma del potere politico che sempre può trovare un compromesso con quello religioso. Io i due aspetti li vedo con-fliggenti, quindi in tensione ma inseparabili».

Qual è la conseguenza?
«Il potere politico che Schmitt vede nella forma catecontica, come Simone Weil, ha la funzione unica e legittima di contenere il male. La Chiesa dice: governa la comunità nel saeculum, alla salvezza ci penso io. Il dramma è che anche per fare questo occorre potestas, non basta un amministratore di condominio. E come fa una potestas a non volersi fondare anche su una auctoritas (condurre indicando a un fine)? Chi non lo fa, perde anche la mera funzione amministrativa».

La Chiesa non lo consente?
«La Chiesa non può correre il rischio di invocare un potere con mire imperiali. E Dante non risolve il problema: pone due soli, ma nel nostro firmamento ce n’è uno solo. Dice che il potere deve essere impero e la Chiesa francescana. Bella distinzione, ma in Dante stesso regge fino a un certo punto, perché nella Commedia, non nel Monarchia, alla fine il sole è uno. Subordinazione? Autonomia? Questo è il dramma del con-flitto. E...de te fabula narratur».

Tolga le diecimila virgolette.
«La crisi europea è proprio crisi di potenze catecontiche. Il potere politico non frena, non trattiene il globale, e anche la Chiesa governa sempre meno. C’è un intrico di potere politico e autorità spirituale, che nella Chiesa si dà immediatamente, fisicamente nel Papa. Le dimissioni di Ratzinger hanno pregnanza simbolica: non ce la faccio più, non ho più l’energia per contenere questa Chiesa».

E quando il katechon non frena più, che cosa succede?
«Il pensiero reazionario dell’800 vedeva la vittoria dei barbari: socialismo, ateismo... C’è anche questo, ma io ho una lettura apocalittica: non semplicemente l’assalto esterno, barbarico, ma “energeitai”. L’Anticristo non si è manifestato, ma è già in tutta la sua energia ovunque, anche nella Chiesa».

Il potere contenente travolto dal contenuto?
«La definitiva crisi dalla funzione catecontica avviene prima con la secessio dell’impero, poi con quella della Chiesa dalla propria fede. Il tema è agostiniano: Chiesa, ogni giorno devi vedere gli Anticristi in te e combatterli. E allora la potenza catecontica “si” toglierà di mezzo. E questa figura è il grande inquisitore. Del resto, mai dimenticarsi che lucifero è luce. E come si fa a non cogliere una qualche eco di questa drammatica prospettiva nel gesto di Ratzinger?».

E nella politica odierna?
«Dc e Pci, quelle sì erano potenze catecontiche. Leadership complesse, che filtravano i fermenti eversivi delle basi sociali, li trasformavano. Quando sono scoppiate, è stata la catastrofe: venticinque anni di massacro».

Lei scrive che il «katechon» rappresenta «interpretando» i rappresentati. I grillini teorizzano la totale identificazione.
«Certo che lo dicono! Ragionino: se il rappresentante è identico al rappresentato, cade la base di ogni democrazia concepibile. Facciano ordine nel cervello: un po’ di disincanto, please, e cura della demagogia».
Demagogia? Lei provoca. No! Trasparenza, Rete, parlamentari-cittadini-portavoce...
«La demagogia - condurre il demos - è necessaria. E tu ragionevolmente convinci il popolo a seguirti, rischiando, perdendo qualcosa di più delle proprie catene. Il vero pericolo è il populismo: dire al popolo che ha sempre ragione, che io sono uguale a te. Il populista non può essere democratico, per ragioni logiche-filosofiche».

Che consiglio darebbe a questi homines novi?
«Intanto pulirsi la testa da una serie di corbellerie buoniste: leggere alcuni autori della linea maledetta, sobria e disincantata che conosce la natura umana, dal Principe di Machiavelli a Leopardi, il nostro più geniale pensatore, a Gaetano Mosca. E De civitate Dei di Agostino. Questi sono i rudimenti. Poi non credere che più ignorante sei, meglio farai politica. Non è detto. Oggi sembra così, ma forse è una febbriciattola. Roosevelt, Stalin, Mussolini e De Gasperi non erano i più ignoranti dei loro popoli. Allora cercate di acculturarvi sulle radici italiane ed europee. Prendete non dico la Fenomenologia dello spirito che è centomila volte più interessante, ma il Taylor, un manuale: niente di speciale, roba americana, un malloppone ordinato per capire la complessità tragica e impedirvi di banalizzare tutto».

E Schmitt, lo scandalo?
«Ah, certo. Però lì si muovono anticorpi... Se non ti togli dalla testa che è stato nazista, sullo scandalo meglio soprassedere».   

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