Ammetto di essermi sbagliato. L'ho già scritto alcune volte, di recente, nell'incipit delle mie Mappe, analizzando i cambiamenti politici in atto. Anche alcuni risultati delle elezioni appena avvenute mi hanno spiazzato. Ad eccezione di uno - peraltro importante. La prestazione del Centrodestra e del PdL, guidati da Silvio Berlusconi. Sostengo, infatti, da tempo, che il "berlusconismo" è finito. Ebbene, almeno su questo non mi sono sbagliato. A dispetto delle letture che parlano di "rimonta" e perfino di "miracolo" di Berlusconi.
Le tabelle
Il PdL e il Centrodestra hanno toccato il punto più basso della loro storia elettorale, che coincide con la biografia della Seconda Repubblica. Partiamo dai dati (che ricavo dal Dossier Lapolis dell'Università di Urbino). Il PdL ha ottenuto il 21,6% dei voti validi. Il 23,6% se si considerano anche i "Fratelli d'Italia" (e del PdL). Circa 14 punti meno delle precedenti elezioni, quando aveva superato il 37%. Ma 11 punti e mezzo in meno anche rispetto alle europee del 2009. Quanto alla coalizione, il discorso cambia poco. Il Centrodestra, guidato da Berlusconi, in questa consultazione, ha ottenuto il 29%. Cioè: quasi 18 punti meno del 2008.
In valori assoluti, la distanza rispetto alle precedenti elezioni appare ancor più eloquente (come ha rilevato puntualmente l'Istituto Cattaneo). Abissale. Il PdL, infatti, ha subito un calo di 6.300.000 elettori. E si è
ridotto a circa metà, rispetto al 2008. La coalizione di Centrodestra, da parte sua, ha perso oltre 7 milioni sui 17 ottenuti nel 2008. Cioè, oltre 4 elettori su 10.
Un arretramento così pesante ha prodotto conseguenze molto rilevanti e molto evidenti anche sul profilo territoriale. Basta guardare il posizionamento del PdL che emerge dalla geografia del voto nelle due ultime elezioni. Nel 2008 era il primo partito in 67 province, il secondo in altre 40. In pratica, era diffuso in tutta Italia. Forte, secondo tradizione, nel Nordovest, nel Centrosud e nelle Isole. Oggi, invece, il PdL è il primo partito in 17 province e il secondo in altre 26. Insomma, ha rarefatto - ridotto a meno di un terzo - la sua presenza sul territorio nazionale, concentrandola largamente nel Mezzogiorno.
D'altronde, se si ripercorre la parabola del voto del PdL e dei suoi antecedenti, è evidente come queste elezioni segnino il punto più basso del "partito personale" di Berlusconi, in quasi vent'anni di elezioni. Oggi, infatti, il PdL ha ottenuto pochi consensi più di FI, da sola, all'esordio, nel 1994.
Se questo è un "miracolo", allora, è lecito attendersi, presto, un nuovo passaggio di Grillo attraverso lo stretto. Ma a piedi. Camminando sulle acque.
Anche la presunta "rimonta" è una leggenda. Se facciamo riferimento ai (vituperati) sondaggi, il PdL è effettivamente risalito negli ultimi due mesi. Nel corso del 2012, "abbandonato" da Berlusconi, era sceso al 17% (Demos). Secondo altri istituti, anche più in basso. Da dicembre a febbraio, è risalito, fino a superare il 20%. Merito di Berlusconi? Certo. Ma solo perché senza Berlusconi il PdL non esiste. Non ha "senso". Il ritorno del Cavaliere ha permesso al PdL di ri-allinearsi sul livello precedente alle dimissioni, nel novembre 2011. Quando il declino del berlusconismo si era già consumato.
Non mi interessa, qui, partecipare alla ricerca dello "sconfitto più sconfitto" degli altri.
Perché in queste elezioni c'è un solo vincitore: Beppe Grillo insieme al Movimento 5 Stelle. Tutti gli altri sono stati sconfitti. Per primo, ex aequo con altri, Silvio Berlusconi. L'uomo-che-rimonta - per (de)meriti altrui più che propri. In effetti, il risultato del PdL e del Centrodestra non si è scostato di molto rispetto alle stime dei sondaggi. Al massimo 1-2%. Se Berlusconi ha rischiato il pareggio e perfino il sorpasso è perché il Centrosinistra e in particolare il PD lo hanno quasi raggiunto. In discesa. In caduta. È questo il vero miracolo. Che il PD e il Centrosinistra non siano riusciti a vincere neanche stavolta. D'altronde, neppure i sondaggi del Cavaliere immaginavano il PD così in basso. Poco sopra il 25%. Al punto di essere superato dal M5S. Così il Centrodestra è divenuto competitivo non per la "rimonta" del Cavaliere, ma per la "riSmonta" del PD. Il quale, rispetto al 2008, ha perduto 8 punti percentuali. In termini assoluti: quasi tre milioni e mezzo di voti - il 28% della propria base elettorale precedente.
La leggenda della "rimonta" del Cavaliere, in effetti, mi sembra auto-consolatoria. Non solo per Berlusconi e il Centrodestra. Ma anzitutto per il PD. Che ha ceduto pesantemente, quasi di schianto, proprio quando il PdL ha ottenuto il peggiore risultato della sua storia. Una coincidenza non casuale ma semmai "causale". Perché il PD, come osservò Eddy Berselli proprio a commento delle elezioni del 2008, è rimasto un "partito ipotetico". Senza una "chiara idea complessiva". Ha, invece, coltivato con Berlusconi e il PdL un rapporto mimetico. Fino a diventarne quasi complementare. Il PD: ha perduto - o almeno: non ha vinto - perché, in fondo, si è progressivamente berlusconizzato. Per modello organizzativo, immagine, comunicazione. Senza, peraltro, proporre un leader come Berlusconi. Preferendo, invece, "l'usato sicuro". Così Grillo e il M5S hanno sfondato nelle zone rosse, verdi e azzurre. Insomma, dovunque. Sfruttando la fine del berlusconismo, che ha trascinato con sé anche il PD. Un po' come nei primi anni Novanta, quando il crollo del muro di Berlino travolse non solo il PCI e i post-comunisti, ma prima ancora la DC e l'anticomunismo.
Il centrosinistra, per ricominciare, non deve guardare gli altri, non deve guardare indietro. E neppure avanti. Deve guardarsi dentro
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