on la sua solita prontezza Matteo Renzi non ha faticato molto a convincersi, dopo un’iniziale incertezza, che in tema di corruzione le regole servono eccome. Ma quale tipo di regole? A quel che oggi è dato di capire, si tratterà dei provvedimenti solitamente adottati in Italia in casi del genere: cioè più controlli (magari meglio strutturati), più fattispecie di reati, e almeno sulla carta pene più dure (laddove sarebbe assai più importante che fossero invece più certe). Dunque inevitabilmente, almeno in parte, maggiori vincoli e forse tempi più lunghi.
Probabilmente anche più burocrazia e più spese, dal momento che se, come si dice, il tutto sarà affidato al giudice Cantone e al suo ufficio, allora bisognerà pur dargli più locali, più personale, più soldi. Perché invece non provare a battere un’altra via, diversa - benché di certo non sostitutiva - da quella del controllo istituzionale e delle sanzioni? Ad esempio quella - che definirei la via dei pesi e contrappesi propria del costituzionalismo liberale - consistente nel cercare di creare tra il potenziale corrotto/corruttore e l’ambiente in cui egli si muove un contrasto permanente d’interessi, il quale rappresenti un ostacolo importante allo svolgimento delle sue attività illegali. Mi spiego, tenendo presente che naturalmente il discorso deve essere diverso per il momento della corruzione che vede protagonisti la pubblica amministrazione e gli organi giurisdizionali (uffici ministeriali e assimilati, gabinetti, Corte dei conti, ecc.), e per il momento della corruzione che invece è collegato alla decisione di organi politici elettivi (sindaci, assessori, ministri, ecc.). Anche se poi, inevitabilmente, i due momenti confluiscono sempre in un’unica impresa illegale. OAS_AD('Bottom1');Orbene, per ciò che riguarda le pubbliche amministrazioni sarebbe io credo utilissimo introdurre la norma, in vigore negli Usa, secondo la quale qualunque addetto a un pubblico ufficio denuncia un caso di corruzione di cui viene a conoscenza o di cui sospetta, nell’ambito del suo lavoro, riceve per ciò stesso, se la denuncia si dimostra fondata, uno scatto di stipendio o una promozione (e viceversa una diminuzione e un arretramento nel caso si accerti l’infondatezza del fatto e/o l’intento calunnioso del denunciante). È facile immaginare che con una simile norma il funzionario o il giudice corrotto vedrebbero accresciute enormemente le difficoltà di operare, si muoverebbero in un clima di continua insicurezza, e ciò avrebbe di sicuro un effetto dissuasivo di vasta portata. Altro è il caso del politico corrotto. Chi è qui che sia vicino a lui e possa avere interesse a impedire che egli esca dai binari della legalità? L’eventuale sanzione politica da parte dell’elettorato costituisce infatti una remora troppo lontana e aleatoria per poter ottenere un reale effetto di prevenzione. Se invece, però, la legge prevedesse, in seguito alla condanna penale del politico corrotto, anche, automaticamente, una forte sanzione pecuniaria (penso a qualcosa tra i centomila euro e il milione) per la lista in cui egli è stato candidato(a meno che tale lista medesima non abbia provveduto a denunciare lei l’operato del suo eletto), allora molto probabilmente le cose cambierebbero. Sarebbe il suo stesso partito a esercitare uno stretto controllo sull’operato di colui che ha mandato al potere. Il punto è sempre lo stesso: per prevenire non c’è nulla di meglio che dar vita o spazio a chi abbia un interesse concreto a far sì che non accada ciò che si teme. Ci pensi il presidente del Consiglio.
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