RepIdee, Baricco e l'elogio dei videogame: ''Ripensiamo la scuola partendo da lì''
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Lo scrittore ha iniziato il suo intervento sottolineando che non è la riforma della scuola il centro della sua riflessione, ma il metodo che viene ancora oggi utilizzato e che vede l'Italia così tanto in ritardo nella formazione. "È abbastanza ovvio che per ripensare il mondo, dobbiamo iniziare dalla scuola - ha detto Baricco -. Cosa insegniamo e perché facciamo questo? Sono queste le domande che dobbiamo porci se vogliamo davvero ripensare una scuola efficace".
La scuola primaria, in fondo, lo è ancora. "Ma subito dopo precipitiamo in un buco nero - prosegue lo scrittore -, con i ragazzi che sono profondamente diversi da come eravamo noi, vanno a una diversa velocità. È vero, sono più maturi, ma i meccanismi dell'apprendimento sono sempre gli stessi".
E per fare capire qual è il suo pensiero e dove, secondo lui, la scuola non funziona, Baricco parte dalle sue esperienze di vita vissuta: "Ho due figli, di 9 e 16 anni. Mi capita spesso di spiare mio figlio più piccolo e di vederlo giocare con i videogames, risolvere problemi di notevole complessità, per i quali è necessario saper leggere e fare di conto. Poi, quando gli dico di andare a fare i compiti, vedo che deve fare i conti con problemi in cui addizionare 14 mele rosse con altre 8 mele rosse, problemi in cui il livello di complessità è piombato".
Una scuola di uguaglianza, secondo Baricco, che appiattisce sui livelli degli ultimi della classe. "Ma quegli ultimi - sottolinea lo scrittore - sono bravissimi ai videogames. Il problema, quindi, è che i ragazzi non sanno fondere le due esperienze che hanno, c'è incomunicabilità tra i due mondi in cui vivono".
La sfida della scuola, dunque, deve essere quella di ricucire, fare un passo indietro per capire il 'perché' della scuola. E per farlo bisogna agire su 4 fronti: ridurre gli archi di insegnamento e imparare a raccontare ai giovani il viaggio che stanno intraprendendo. "Non raccontiamo quasi mai ai ragazzi qual è lo scopo. Quelli che frequentano il ginnasio, ad esempio, nei primi due anni si massacrano sul latino e il greco, ma se dopo sei mesi chiediamo loro perché lo fanno, non sanno rispondere. È necessario che di questo percorso noi ne facciamo un viaggio ed è necessario che diciamo loro dove questo viaggio li porterà". Avere punti di partenza e di arrivo 'visibili' nella formazione è fondamentale per motivare i ragazzi a imparare, ma ci deve anche essere una 'verifica' . "Abbiamo tolto anche gli esami di quinta elementare. I ragazzi arrivano al primo esame dopo otto anni di scuola con la paura della prova. Ma nello sport e nei giochi vivono di prove e questo non li spaventa affatto".
Essere messi alla prova dà anche soddisfazione e indica uno scopo. "Non si può insegnare solo a studiare, cosa in cui la scuola italiana è bravissima. Bisogna insegnare gli strumenti e ribaltare il punto di vista. Per imparare a scrivere, c'è bisogno di leggere. Ma bisogna avere il coraggio di eliminare cose inutili o superate, come la divisione in materie e classi. È impossibile appassionare i ragazzi allo studio della geografia se non si insegna la storia. Ma a scuola i libri sono due e non comunicano tra loro. E ci sono ambiti di sapere che restano fuori dalle pareti scolastiche". Uno di questi è la musica."Abbiamo inserito un'ora in più di musica, ma non insegniamo ai ragazzi la lirica, cioè non 'raccontiamo' perché nell'Ottocento non avevamo persone che scrivevano romanzi, perché quello che avevano da dire lo sapevano raccontare benissimo in musica".
È un ragionamento, sottolinea lo scrittore, che interrompe uno schema lineare e mescola le cose: "Ma così si capisce lo scopo per il quale si impara. Siamo abituati a pensare che matematica ed educazione fisica siano slegate, come lo yoga e la filosofia, ma i pitagorici erano fissati con la cultura del corpo e lo usavano come una tavolozza. Questo si può applicare a tutti gli insegnamenti". C'è poi, un ambito in cui nella scuola c'è un fallimento totale: "Manca la cultura digitale: la scusa è che non ci sono soldi per acquistare computer, creare spazi e formare docenti. Non è vero: il problema è invertire il procedimento. Professori ripetono per anni la stessa lezione: nei paesi anglosassoni hanno avuto il coraggio di invertire lo schema. Il docente registra una lezione perfetta, che i ragazzi guardano a casa. A scuola fanno i compiti, tutti insieme, sveltiscono i tempi e riescono a capire il 'perché' di quello che stanno imparando. Questo li aiuterà nel mondo del lavoro, che apprezza chi sa raccontare, chi sa seguire un flusso di informazioni, mescolandole come quando si consultano i link, senza un percorso lineare, ma un inizio e una fine, a più livelli, come un videogame".
Un esperimento che in Italia sarà difficile tentare, ha detto lo scrittore, riferendosi alle polemiche su 'La buona scuola', se il dibattito sulla riforma si ferma ancora alla questione se sia giusto che il preside scelga o meno i professori.
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