Ci voleva un dipartimento universitario di giurisprudenza per fare esplodere l’urgenza di rimediare all’impreparazione linguistica dei ragazzi appena usciti dalle scuole. A Pisa un’insegnante di diritto, Eleonora Sirsi, in collaborazione con il linguista ed ex presidente della Crusca Francesco Sabatini, ha rotto gli indugi, stanca di leggere le tesi scorrette dei suoi allievi.
Non imprecise o lacunose sul piano concettuale, ma deficitarie sul piano della lingua italiana. Anacoluti, distorsioni, pleonasmi, reggenze sbagliate, sviste lessicali, incapacità di usare la punteggiatura. Per non dire del deficit grammaticale e sintattico che emerge dai concorsi pubblici. Un disastro. Ed è significativo che siano i giuristi a prendere provvedimenti urgenti al riguardo: il fatto è che per un avvocato, come per un magistrato o per un legislatore, l’uso consapevole e corretto della lingua non è un capriccio superfluo, ma è parte integrante e irrinunciabile della pratica professionale. Vale cioè esattamente quanto la conoscenza del codice penale o di quello civile.
Vista la gravità della situazione, si è trovato un solo provvedimento utile a rimediare alla deriva linguistica: tornare all’ABC, cioè alle nozioni fondamentali. E allora viene programmato, per il terzo o per il quarto anno di studio (si partirà dal nuovo anno accademico), un corso di scrittura e di grammatica della frase. Non la retorica o lo stile, ma la grammatica. Quella che sarebbe indispensabile acquisire nel percorso scolastico, tra le elementari e il liceo, e che invece viene tranquillamente elusa o trascurata in nome di altre presunte priorità. Se ci non fosse da piangere, si potrebbe anche sorridere del paradosso: tutti a riempirsi la bocca sulla necessità di imparare l’inglese e di affinare le competenze informatiche, mentre la vera emergenza è la lingua italiana.
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