Diceva Lord Northcliffe: “La notizia è quella cosa che qualcuno, da qualche parte nel mondo, non vuole vedere pubblicata. Tutto il resto è pubblicità”. La definizione del giornalista ed editore inglese dell’800, è forse un po’ rigida ma fa capire con chiarezza quale sia la posta in gioco quando si parla di diffamazione. Da una parte ci sono i giornalisti che possono pure sbagliare, commettere errori e danneggiare le persone.
Ma dall’altra ci sono coloro che non vorrebbero mai che certe notizie fossero pubblicate, indipendentemente dalla loro veridicità e affidabilità. Anzi, più sono vere e inattaccabili più sono ritenute potenzialmente pericolose da chi vorrebbe poter continuare a tramare indisturbato lontano dai riflettori. Per questo una buona legge dovrebbe tutelare entrambi i diritti: quello dei cittadini a non essere diffamati, ma anche quello dei giornalisti a svolgere il proprio non sempre facile compito senza intimidazioni.
E’ con questa lente che deve essere valutato il testo della legge che modifica le norme sulla diffamazione, attualmente in aula a Montecitorio. Vediamo alcuni punti della legge con relative osservazioni.
1. Carcere. Niente carcere per il giornalista riconosciuto colpevole di diffamazione, come ci aveva chiesto l’Europa, ma multe pesanti fino a 50 mila euro.
Su questo punto la legge pone rimedio a un obrobrio giuridico, come richiesto dalla Ue, ma di fatto introduce una sanzione assai pesante che può rappresentare un deterrente a certe inchieste delicate, soprattutto per le testate più piccole.
2. Rettifica. Resta l’obbligo di rettifica – “gratuitamente e senza commento, senza risposta e senza titolo” – entro le 48 ore dalla richiesta per le testate online e entro i 15 giorni per riviste e libri.
D’accordo sull’obbligo di rettifica, ma perché impedire la dialettica in un mondo dove ormai, grazie ai social media, tutti possono conversare e fare valere le proprie ragioni con tutti? Se la ratio è quella di salvaguardare il diritto all’ultima parola al lettore che chiede la rettifica, questa norma appare un retaggio di chi ancora ragiona in termini eslusivi di carta stampata. Inoltre, non tiene conto del fatto che buona parte delle rettifiche contengono parti offensive nei confronti di giornalisti e/o di persone terze. Non pare una buona idea accogliere le rettifiche come oro colato, come se fossero “la ragione”, l’ultima parola.
3. Competenza. I processi per diffamazione contro i siti internet si radicano per competenza territoriale nella città del querelante.
Altro punto dolente: se un grande giornale ha le spalle abbastanza larghe per sostenere costi di difesa a giro per l’Italia, non si è tenuto conto che per le piccole testate anche queste spese possono alla lunga rappresentare un deterrente a perseguire la strada delle inchieste scomode e delle hard news.
4. Blog. Scompare l’obbligo di rettifica per i blog e i siti indipendenti come Wikipedia.
Questa è sicuramente una buona notizia anche se l’impressione è che sia solo un rinvio in attesa di affrontare la questione nell’ambito di una normativa specifica e più ampia sul mondo digitale.
5. Querele. Viene introdotto un risarcimento per le querele temerarie che il giudice può stabilire fino al 50 per cento della somma richiesta da chi ha impropriamente promosso un’azione contro il giornalista per diffamazione.
Questo è forse il punto più positivo della nuova normativa sulla diffamazione tenendo conto che sempre più spesso la querela viene utilizzata come strumento per intimidire, condizionare e zittire i giornalisti.
La mia personale opinione è che la legge migliori in parte il vecchio testo, ma sia ancora lontana dall’aver trovato quel giusto equilibrio tra tutela del diritto dei cittadini ad essere informati e tutela della dignità personale dei protagonisti dei fatti di cronaca. Se ci atteniamo alla definizione di notizia di Lord Northcliffe, il rischio è di leggerne sempre meno, purtroppo, di notizie.
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