Lo spauracchio è investire più risorse e tempo nel valutare la ricerca, che nella ricerca stessa. A partire dalla riforma Gelmini del 2010, il sistema universitario ha adottato una corposa serie di meccanismi di controllo dei professori, che spaziano dalla produzione di articoli scientifici all’esame della didattica, sia con visite di docenti esterni che con questionari per gli studenti. Il tutto corredato da una certosina raccolta di dati su iscritti e risultati. L’obiettivo, riconosciuto dal mondo accademico come nobile e necessario, è rendere la macchina universitaria più trasparente, e premiare il merito. Il problema però è che il tutto si traduce in una marea di scartoffie, che ingombrano le scrivanie dei docenti universitari più dei manuali.
Pare un paradosso, ma è un problema che non affligge solo il Belpaese: il personale amministrativo dell’università di Oxford per esempio è triplicato negli ultimi quindici anni, mentre studenti e professori non hanno tenuto il passo. Anche se con segno negativo, i numeri dell’università italiana raccontano una storia assai simile. Secondo i dati diffusi dall’ultimo rapporto dell’Anvur, ente pubblico nato nel 2006 per valutare la ricerca italiana, tra il 2008 e il 2014 sono diminuite le immatricolazioni (-10%), tra tagli e blocco del turn over sono sempre meno anche i professori di ruolo (-18 %), mentre resiste un poco di più il personale tecnico e amministrativo (-12%).
Tra questionari e verbali
«La filosofia delle riforme è vincente, ma la burocrazia è infernale», commenta Carlo Cerrano, professore associato di zoologia all’università Politecnica delle Marche. Per insegnare, la prima regola è tenere un’agenda impeccabile. Bisogna verbalizzare non solo le ore di lezione, ma anche le attività di tutoraggio, ordini collegiali, consigli di facoltà e di dipartimento. «Poi c'è la valutazione dei corsi - continua Cerrano -. Dobbiamo consegnare i dati degli iscritti e degli studenti regolari, le votazioni, i questionari sulle lezioni, sull’insegnamento, le relazioni periodiche e molto altro ancora». Alla fine della trafila, come si premia i meritevoli? Gli scatti di anzianità - 200 euro in più al mese ogni due anni - sono bloccati da otto anni, quelli per il merito per ora sono rimasti solo sulla carta. Per chi non raggiunge le soglie qualitative, nessuna penalizzazione. Ma chiunque può diventare rettore o direttore di dipartimento.
Commissioni
Per passare da dottorando a ricercatore c’è un concorso , poi bisogna affrontare una commissione per passare dal livello A al B. Con l’ammissione al secondo, si viene considerati «abilitati» a diventare professori associati, ma sui tempi non c’è nessuna garanzia. Anche per entrare nella commissione che valuta gli aspiranti docenti, bisogna essere giudicati , e via con altre carte. Ogni facoltà ha delle tabelle con parametri studiati ad hoc, e la nuova procedura indicata in due decreti dello scorso luglio comprende tre valori soglia: chi non ne soddisfa almeno due, è escluso. In alcuni settori, tra i requisiti c’è la pubblicazione su riviste scientifiche di dieci lavori in cinque anni. Il Cun, Consiglio universitario nazionale, ha protestato: quantità non è quasi mai sinonimo di qualità. E si arriva a un altro paradosso: conta più aver partecipato, anche con ruoli marginali, a diversi progetti, che averne pubblicato solo uno, ma di altissimo livello. «C’è l’esigenza di valutare il nostro lavoro, e va bene - conclude Cerrano -. Ma così dedichiamo troppo tempo a declinarlo perché rientri nei parametri». E il rischio è ben riassunto in una delle massime di Franz Kafka, che di paradossi si intendeva: «Ogni rivoluzione evapora, lasciando solo la melma di una nuova burocrazia».
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