Il professor Alberto Asor Rosa incita sul manifesto, compassato quotidiano comunista, al colpo di stato. E' un italianista in cattedra, quindi non si cura di scegliere come Dio comanda tra congiuntivo e indicativo (vuole “una prova di forza… che scenda dall'alto, che instaura… un normale stato d'emergenza” eccetera, e il resto della citazione la trovate qui sotto nell'antologia degli orrori confezionata per voi). Ma per quanto scriva da passante, Asor Rosa non è un passante. E' un esponente autorevole della cricca Scalfari. E' uno che con il vecchio Toni Negri, oggi in pensione, animava le correnti ideologiche contigue al terrorismo, dette “operaisti”, e che amava molto Slobodan Milosevic e il suo nazionalcomunismo abbattuto dalla guerra del Kosovo. Insomma, uno special one del più trucido e violento cazzeggio dell'antidemocrazia travestita da perbenismo e neopuritanesimo all'italiana.
Non solo il professore non è un passante, la sua idea golpista, esplicitata ieri come mai prima d'ora, con tanto di invocazione di Carabinieri e Polizia di stato al servizio di un piano eversivo per “congelare la Camere” e liquidare con la forza il governo eletto, è la versione letterale di molte altre posizioni analoghe, più o meno dissimulate, espresse da editorialisti del quotidiano di Carlo De Benedetti, la tessera numero uno del Partito democratico (così il brillante finanziere e nostro saltuario collaboratore ebbe a definirsi in passato). Ammiccamenti o pupi viventi del sardo-piemontese e appena un po' più contegnoso Ezio Mauro, e del mondano Fondatore del giornale che egli dirige, gli editorialisti militanti di Rep. sono gli stessi che parlano dai palchi accanto al vanesio Eco e al banale Saviano e a un bambino tredicenne incaricato di recitare la litania dell'odio contro il Cav., una vera forma di prostituzione politica minorile al servizio dell'Anticostituzione. Tutti teorizzano il diritto di abbattere il tiranno con ogni mezzo, e affermano che non si può ottenere una nuova maggioranza in Parlamento e nemmeno nelle urne, ragion per cui occorre il colpo di stato, nelle forme magari meno evidenti di un governo del presidente o in quelle trucibalde descritte ieri da Asor Rosa.
Il pretesto è che Berlusconi è un delinquente, tocca il culo alle ragazze (il playful premier del Financial Times o, se volete, il “giocoliere galante” evocato dal vostro direttore), ha rincretinito gli italiani con i palinsesti televisivi, immagino a colpi di Lerner, Gabanelli, Gruber, Dandini, Floris, Santoro e Fabio Fazio, in più annullando ogni caratterizzazione politica dei programmi Mediaset e generando durante il suo dominio tirannico sul sistema un terzo polo televisivo in cui eccelle Enrico Mentana con il suo tg7; il delinquente inoltre ordina al Parlamento il confezionamento di leggi ad personam per difendersi dalla cura equilibrata con cui magistrati comizianti della procura di Palermo vogliono tirarlo dentro da anni con accuse di strage mafiosa, una delicata Boccassini vuole imputargli una rete di prostituzione per delle feste tenutesi a casa sua, e una quantità di altri magistrati, civili e penali, desiderano che vada in galera per le accuse più varie e che prima, per cortesia, passi un sette-ottocento milioni di risarcimento all'editore di Repubblica.
La faccenda è grottesca, ma è anche molto seria. Il fronte antiberlusconiano eccita gli animi alla guerra civile. Il gioco è sporco, brutale. Le gride illiberali emesse da questi tecnici del colpo di stato rimbecilliscono davvero una minoranza fanatica. La loro stampa fiancheggiatrice di bassa lega, guidata da un manipolo di teppisti dell'informazione, diffama e denigra a piene mani, tutti i giorni, coloro che tentano di resistere all'ondata di piena merdaiola. Mettono in pericolo la convivenza civile con l'ostentazione della virtù mentre i loro attori e saltimbanchi simbolo investono alla caccia del 20 per cento di interessi promesso dal Madoff dei Parioli i loro piccoli risparmi ottenuti nel vasto e florido mercato dell'odio politico. Questa masnada mette in mora le istituzioni e i poteri neutri. Rovescia ogni frittata e, mentre butta fango e merda sull'Arcinemico, lamenta di essere vittima di una orwelliana macchina del fango (il senso dell'umorismo non è il forte di questi golpisti meschini, di questi chiagn' e fotti).
C'è chi il dirty job, il lavoro sporco, lo fa con argomenti diretti, come l'italianista che sbaglia congiuntivo e indicativo, chi lo fa con argomenti malinconici e profetici, chi lo fa impancandosi a difensore del diritto o meglio di una versione totalitaria e incostituzionale della legalità, intesa come una clava da opporre alla sovranità del Parlamento, alla sovranità dei cittadini che lo eleggono, alla divisione dei poteri distrutta dalla incauta riforma dell'articolo 68 della Costituzione, nell'anno di grazia del Grande Terrore, il 1993.
E' ovvio che a nessuno di questi gentiluomini, a nessuna di queste nobildonne importa che sia possibile processare Berlusconi. Se questo fosse l'obiettivo, a prescrizione sospesa, con il lodo Maccanico, poi Schifani, poi Alfano, sarebbe un gioco da ragazzi costruire un'alternativa al giocoliere galante, rovesciarlo con un voto popolare e poi processarlo in tribunale. Ma loro non vogliono processarlo, vogliono abbatterlo e vogliono farlo anche per derubare noi delle imperfette ma vive libertà italiane e per derubare lui del suo patrimonio a nome e per conto (corrente) dei loro padroni. In spregio ai cittadini che hanno scelto un imprenditore e leader politico atipico per ben tre volte (e hanno scelto liberamente un altro principe, Romano Prodi, ben due volte relegando Berlusconi all'opposizione).
L'Italia è una democrazia. Il giocoliere galante gioca con tutto tranne che con la regola delle regole, il diritto della maggioranza a governare sotto il controllo delle istituzioni. Un controllo occhiuto, che va dal Quirinale alla Corte costituzionale, da un establishment economico e finanziario criticabile, ma plurale ed europeo, a una stampa liberissima e in certi casi omologata alla morale corrente del contropotere. Questa democrazia è sotto il tiro dei cecchini. Sono pallottole verbali, come abbiamo visto sono invocazioni alla violenza contro la Costituzione e le leggi, contro il verdetto elettorale, sono parole che chiedono dall'alto quel che non si riesce a fare dal basso per mancanza di consenso, sono parole ma parole contundenti, che avvelenano l'aria che si respira, condannano una generazione politica al settarismo, al moralismo più insincero e al virtuismo ipocrita. Sono parole che vanno spiegate, diffuse, illustrate e criticate, anzi demolite, con tutti i mezzi leciti. Non capisco come sia possibile che, al posto o a integrazione di piccoli show in tribunale, il Popolo della libertà non convochi un grande raduno nazionale al Palasport di Roma con il titolo: “Storia di una persecuzione politica”. E il sottotitolo: “Tecnica di un colpo di stato”.
Non si può assistere a questo grottesco scempio della legalità e sovranità repubblicana senza protestare, senza scendere in strada, senza resistere. E le istituzioni terze, le istituzioni di garanzia, alle quali in sospetta concomitanza il leader del Pd Massimo D'Alema chiede uno sbrigativo “scioglimento delle Camere”, dovrebbero, se ci sono, battere un colpo significativo e rumoroso. E spiegare che con la democrazia non si scherza, che c'è un confine valicare il quale è costituzionalmente proibito.
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