Compare qui il Cacciari tuttologo incontinente: una sorta di Sgarbi post-berlusconiano, senza per altro possedere le virtù istrioniche del critico d’arte. Non c’è convegno, trasmissione televisiva, dibattito giornalistico, incontro pubblico in cui, prima o poi, non faccia capolino la sua silhouette segaligna e barbuta.
Diciassette anni vi sembran pochi? Non quelli del regimetto berlusconiano (1994-2011), bensì quelli in cui Cacciari ha regnato a Venezia (1993-2010). Tre mandati come sindaco (più uno per interposta persona), durante i quali ne ha combinate delle belle, anzi delle brutte!
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T. Montanari, La morte di Venezia: un libro accusa Massimo Cacciari, Il fatto, 28 luglio 2013
Arriva finalmente in libreria Il politico della domenica. Ascesa e caduta di Massimo Cacciari. Da qualche tempo questo mirabile pamphlet dello storico veneziano Raffaele Liucci circolava per email: visto che non si era trovato un editore abbastanza anticonformista e coraggioso. Ma ora, grazie a Stampa Alternativa, con un euro si può comprare un piccolo, ma prezioso, pezzo di verità sull’Italia di oggi.«La prima elezione a sindaco di Cacciari, nel lontano 1993 – ammette Liucci – suscitò in città enormi speranze (quorum ego), all’indomani della caduta in disgrazia del «doge» De Michelis. Ma il bilancio della sua discesa in campo è stato assai deludente, al pari di quanto accaduto con l’altra illustre discesa nell’agone politico, quella del cavalier Berlusconi». E oggi, continua lo storico:
«I risultati sono sotto gli occhi di tutti: Venezia non è più una città in declino, ma una città morta, spogliata da un turismo rapace e distruttivo, simboleggiato dalle gigantesche navi da crociera che solcano il delicatissimo canale e la Giudecca e proseguono il loro viaggio costeggiando Piazza San Marco e rilasciando nell’aria l’equivalente di 14.000 veicoli al giorno».
Si dovesse scegliere un luogo-simbolo del disastro perpetrato dal Cacciari amministratore, bisognerebbe indicare il Lido: «Se Gustav von Aschenbach, il protagonista di Morte a Venezia, potesse un giorno non remoto risorgere e far ritorno al Lido, si sparerebbe un colpo di pistola alla tempia. Annichilito non da un efebico biondino polacco, ma dal paesaggio sanguinante». Perché «per reperire i fondi necessari alla costruzione del nuovo Palazzo del Cinema, il Comune – allora retto da Cacciari e con l’attivo coinvolgimento dell’assessore al Patrimonio, Mara Rumiz – ha ceduto agli immobiliaristi spiagge, parchi, forti, antichi edifici: tutti beni, sulla carta, super tutelati».
Il disprezzo per le regole nutrito dal guru della sinistra televisiva italiana conosce il vertice nella incredibile vicenda del Ponte di Calatrava, sul Canal Grande: che «secondo Cacciari, avrebbe dovuto «far concorrenza a Trinità dei Monti», e «invece s’è rivelato un ponte maledetto, di debolissima ‘costituzione’. Realizzato talmente male (problemi di statica, un’ovovia mai partita, scivolosissimi gradini di vetro all’origine di numerosi infortuni, per i quali sono già state aperte una quarantina di cause per danni) che persino l’architetto spagnolo ne ha poi preso le distanze (lo stesso era accaduto con i progettisti del Palazzo del Cinema, che non avevano mai pianificato la distruzione di una bellissima pineta, per la cui salvezza s’erano invano mobilitati anche gli attori di Hollywood). Non basta. Il “quarto ponte sul Canal Grande” ha registrato pure un vertiginoso lievitare dei costi, pare dell’ottanta per cento. Tanto che, è notizia di questi ultimi mesi, sono stati citati in giudizio per danno erariale (quasi 4 milioni di euro), lo stesso Santiago Calatrava e tre ingegneri, responsabili del procedimento o direttori dei lavori. Ma il procuratore regionale della Corte dei Conti, Carmine Scarano, ha criticato pesantemente anche l’ex sindaco Cacciari, che avrebbe cercato di “nascondere [...] una serie incredibile di errori gravi commessi dalla stessa amministrazione a partire dalla fase progettuale”».
Dopo aver demolito il sindaco, Liucci atterra il filosofo, non fermandosi neanche di fronte al santuario intoccabile anche per i più liberi polemisti italiani, e cioè il potere clericale: «Cacciari – ateo fra virgolette – è il filosofo prediletto dai clericali di casa nostra. Una fitta schiera, che va dall’ex patriarca di Venezia Angelo Scola (il ‘padre spirituale’ dei ciellini, che non ha mai fatto mistero di reputare Renato Farina alias Agente Betulla il miglior giornalista italiano) a don Verzé («primo prete capomafia della storia d’Italia», come ha avuto l’audacia di definirlo il pur moderato Francesco Merlo. Il quale don Verzé, non a caso, una decina di anni fa ha chiamato Cacciari a Milano a dirigere, in qualità di prorettore, la facoltà di Filosofia del San Raffaele (in via Olgettina)».
No: non è un personaggio de La Grande Bellezza. È proprio tutto vero.
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