Caro Direttore, leggo sul Corriere della Sera le scatenate polemiche innescate dalla sentenza della sezione feriale della Corte di Cassazione sul processo contro il presidente Berlusconi, condannato per il delitto di frode fiscale. Ritengo che, ferma la non impedibilità della esposizione dei diversi pensieri sul dispositivo della decisione, ed al limite sulla autonomia ed indipendenza dei redattori della sentenza, sia mancato nel dibattito la considerazione di un rilievo decisivo ed assorbente di ogni altro.
Ove ritenesse che il lettore del suo giornale sia interessato a conoscere l’opinione della parte, di gran lunga maggioritaria, di quella Magistratura silenziosa, impegnata in modo esclusivo ed assorbente nel lavoro della jurisdictio, non coinvolta in collegamenti stretti con gli enti esponenziali degli interessi dell’Ordine — Csm e Giunta dell’Anm— potrebbe esternalizzare al grande pubblico il pensiero espresso nella lettera che le invio.
Credo che siano estremamente fuorvianti le affermazioni espresse da rappresentanti di parte politica nel senso che le sentenze non si possono discutere, ma solo eseguire, come anche le altre contrapposte che muovono al dispositivo della sentenza critiche demolitrici in base ad una denunciata prevaricazione della magistratura sulla politica, la prima perché non fondata sul consenso popolare. Sui punti basta osservare che, da un lato, in via generale e per la verità banale, ogni manifestazione di pensiero, in una società laica e democratica, deve e può essere sottoposta a commento pubblico, adesiva o critica che sia, per la possibilità prevista dal sistema processuale dell’errore giudiziario, e che, dall’altro, il magistrato rinviene la sua legittimazione non nel consenso popolare, ma sulle regole a cui deve conformare la sua azione, tra tutte il principio di legalità ordinaria, comunitaria e costituzionale.
Ora — ed è la domanda che rivolgo ai suoi lettori — che senso ha criticare, in una direzione o in un’altra, una decisione senza che se ne conoscano le motivazioni? I giudici italiani non emettono verdetti immotivati, come in altri ordinamenti è dato registrare, ma anche laddove vi è la partecipazione popolare alla decisione, emettono sentenze che si compongono di due elementi: il dictum inteso come iussum, comando, e la motivazione, che è la giustificazione del dictum. Ne consegue che il primo, il dictum, è un elemento senza anima, che si sottrae ad ogni critica che non sia preconcetta e faziosa, mentre il secondo, completando il primo, non solo consente, ma impone, in una società liberale e democratica, valutazioni, di adesione o di critica, proprie sul giudicato. In questa ultima prospettiva sarà possibile se non doverosa la critica e le prese di posizione della politica e della società civile e su queste dovrà con piena legittimità ordinamentale coagularsi la discussione.
Si attenda quindi la motivazione della ormai nota sentenza nei confronti del presidente Berlusconi, si accenda pure tutta la discussione critica su di essa, almeno nella parte consentita dal doveroso rispetto del principio di legalità costitutivo della legittimità della jurisdictio. Occorre anche tenere a mente che il magistrato non è il depositario di virtù pubbliche, non deve perseguire la moralizzazione della politica o della società, ma deve solo rispettare le regole che l’ordinamento gli impone, deve perseguire solo cioè la politica della legalità. Una legalità però temperata nel senso che da qui a tra poco esporrò, da condizionamenti di varia natura che legittimeranno critiche sul versante esclusivo della politica e della società civile.
Negli ordinamenti moderni, di stampo costituzionale il magistrato non è più quello di «montesquieuana» memoria, «bouche de la loi». L’interpretazione non consiste in una operazione meccanica, ma teleologica: a fronte di una espressione letterale o ad una argomentazione logica, aperte a più significati, è chiaro che le risoluzioni giudiziali dovranno conformarsi al thelos delle norme costituzionali o comunitarie, sovra-ordinate, ma potranno anche risentire, ove con quel thelos compatibili, delle opzioni suggerite da visioni economiche, politiche in senso ampio, culturali le più varie. Una discussione pubblica che non tracimi gli steccati rappresentati dal rigore critico, dal dubbio metodico, dalla moderazione, dalla non prevaricazione, dalla tolleranza, dal rispetto delle idee altrui che già il mio non dimenticato maestro, Norberto Bobbio, all’Università di Torino nei lontani anni 60 indicava come proprie delle virtù mondane e civili, è quella che attende il cittadino più avvertito e consapevole della delicatezza della stagione politica che attraversiamo.
Consigliere della Cassazione
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