Uno dei punti di forza, forse addirittura il principale punto di forza, di Matteo Renzi sta nel fatto che è l'unico leader del Pd capace di sfondare nell'elettorato in fuga dal centrodestra e di attrarre il voto «moderato» diffidente se non ostile nei confronti del Pd. Ma la troppa fretta e le tinte aggressivamente antiberlusconiane che stanno dando vigore alla polemica renziana contro l'immobilismo delle «larghe intese» rischiano di dilapidare questo capitale di potenziale consenso.
Il moderato che si fa incendiario forse servirà a piegare le resistenze di un Pd in perenne crisi di identità e a sottrarlo alla delegittimazione della parte più oltranzista e conservatrice della sinistra, ma può allontanare chi, già elettore di Berlusconi, vorrebbe votare per la prima volta il candidato del Pd.
I nemici di Renzi hanno sempre guardato con sospetto alla sua capacità di parlare a un popolo che non è quello tradizionale dell'insediamento a sinistra. Talvolta si è sentita, greve, la vecchia attitudine di considerare un potenziale «traditore» chi rompe gli schemi più consunti della tradizione. Nel fuoco della battaglia delle primarie, c'è chi si è spinto a dipingere Renzi come un alieno, se non una quinta colonna del «berlusconismo». Hanno accusato il sindaco di Firenze di aver messo piede nella fortezza nemica di Arcore. Perfino una sua lontana partecipazione alla Ruota della fortuna con Mike Bongiorno venne usata come prova della sua accondiscendenza verso il modello berlusconiano. Una sua cena elettorale con gente della finanza alimentò e ingigantì il sospetto di un atteggiamento peccaminoso di Renzi nei confronti della ricchezza e del denaro, simboli della «destra» e del «liberismo selvaggio». E l'apparato del Pd allestì una rete soffocante di regole e di limitazioni per impedire che i cittadini non inquadrati nell'organizzazione del Pd potessero accedere liberamente ai seggi: era il terrore dell'inquinamento «berlusconiano» a suggerire un percorso a ostacoli che arginasse il popolo dei seguaci di Renzi senza la tessera del Pd, o addirittura elettori di Berlusconi delusi e in crisi. L'esito elettorale ha dimostrato quanto quel terrore della contaminazione fosse deleterio fino al punto di portare il Pd, reso baldanzoso da un'assurda pretesa di autosufficienza, al collasso nelle urne. Aveva ragione Renzi: il Pd può vincere solo se saprà conquistare nuovi voti, attrarre consensi non già acquisiti, parlare un linguaggio che, assieme al mantenimento del proprio elettorato, sappia sfidare le passioni e le convinzioni dell'«altro» mondo.
Lo stesso Renzi è apparso consapevole dell'importanza di parlare a questo «altro» mondo. Ha bollato come primitivo ed estremista l'atteggiamento di chi disprezza gli elettori avversari e li ributta nelle braccia di chi si vorrebbe sconfiggere ....
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