DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO La scuola, circondata da una campagna dura, stremata dall’inverno che tarda a finire e dall’inquinamento che non va mai via, è l’unico edificio degno di questo nome nel raggio di chilometri. È intitolata ai «Martiri dell’Armata rossa rivoluzionaria». I bambini di questa elementare di Luannan, distretto rurale nella provincia cinese dello Hebei, hanno in dotazione una divisa celeste carta da zucchero con fazzoletto al collo e berretto con la stella rossa: la copia di quella indossata in guerra dai soldati dell’Esercito contadino e popolare di Mao negli anni Trenta e Quaranta. Alla cerimonia dell’alzabandiera si cantano inni come «Marciamo sempre in avanti, con fermezza».
Del sistema scolastico cinese conosciamo i successi nei test internazionali, che collocano i ragazzi di Shanghai al primo posto mondiale per apprendimento. Ma a Luannan la scuola è dedicata al culto dei patrioti comunisti: ce ne sono 150 sparse nella Repubblica Popolare, soprattutto in luoghi dove l’esercito di Mao combattè contro i nazionalisti e contro gli invasori giapponesi, vincendo. Luannan e gli istituti gemelli sono finanziati dalla «nobiltà rossa», composta dai figli e nipoti dei comandanti delle forze maoiste. È un «principe rosso» anche il presidente Xi Jinping. La nobiltà rossa vorrebbe che ai bambini si insegnasse fedeltà al partito comunista, in tempi di crisi ideologica.
La scuola è una palazzina su due piani, dipinta di giallo ocra e coperta da parole d’ordine scritte in rosso, falci e martelli, stelle a cinque punte. Il direttore, Zhang Shuzhi, 53 anni, ci attende nel piazzale, al suo fianco insegnanti e anche l’assessore. «Abbiamo 280 scolari dai 6 ai 12 anni, 9 classi e 18 insegnanti; lezioni dalle 8 alle 16 con un’ora di pausa per il pranzo, dal lunedì al venerdì». Sulle pareti dei corridoi sono allineate foto in bianco e nero e biografie di eroi rivoluzionari che i ragazzi di Pechino, imborghesiti, ormai non ricordano quasi più. Il direttore ci spiega che la divisa militare gli allievi la indossano solo in giorni speciali, per non rovinarla.
Entriamo in una classe: 24 bambini e bambine di quinta, tutti seduti composti davanti a tavolini quadrati. Naturalmente la maestra li aveva preparati. Quando ho chiesto di fare qualche domanda la signora ha fatto alzare la capoclasse. «Mi chiamo Zhang Likun, ho 12 anni». Dovete fare tanti compiti a casa? «Noo, la maestra è molto brava, ce ne dà pochi». E poi che fai, giochi? «Noo, guardo la tv, ci sono i notiziari». E niente cartoni animati? «Mi piacciono i film storici, come quello sul Piccolo Soldato » (una sorta di P iccola vedetta lombarda di De Amicis in versione maoista). Un’altra domanda banale, di quelle che tutti i bambini del mondo odiano: da grande che cosa vuoi fare? La capoclasse conosce a memoria la risposta: «Realizzare il sogno cinese, facendo l’insegnante». E poi? Qui Likun ha ceduto e ha ammesso di volere anche «una bella macchina, ma bianca». Sai qualcosa dell’Italia? «Certo, l’Europa è a nordovest della Cina e la capitale dell’Italia è Milano».
Poi ho chiesto quanti vogliono fare il soldato: si sono alzate solo tre mani. Un cicciottino, Wu Yulong, ha detto orgoglioso: «Voglio entrare in fanteria, come gli eroi della Lunga Marcia». Ma a nessuno piacerebbe fare il calciatore? Wang Shiy scatta in piedi. E come giochi? «Normale», replica con modestia. Ti piace la divisa dell’Armata Rossa? Gli si illuminano gli occhi: «Sì, tanto». Perché? «È speciale». Ti piace cantare gli inni? «Non tanto, sono stonato». Le aule sono essenziali, riscaldamento già spento e finestre aperte anche se la temperatura è ancora rigida. Nella stanza dei giochi sono allineati carri armati e cannoni di cartone e legno compensato; un diorama della stazione spaziale cinese con le figurine degli astronauti e orsacchiotti di pelu-che. Direttore a che serve una «scuola rossa» come questa? «A formare dei bravi comunisti». E chi è un bravo comunista? «Il bravo comunista salva la Cina». Ma da che cosa dev’essere salvata la Cina? Il direttore di campagna non ha saputo rispondere, ha sorriso.
Certo, impressiona vedere dei bambini nella divisa dei rivoluzionari, allevati a slogan e parole d’ordine. Ma a dire la verità l’ambiente di Luannan ricorda anche quello ingenuo delle nostre scuole elementari di paese com’erano ancora non molti anni fa. Per arrivarci abbiamo attraversato villaggi fatti di casette e catapecchie in strade polverose cosparse di spazzatura e plastica; sui tetti pile di pannocchie di mais lasciate ad asciugare. Niente a che vedere con la Cina seconda potenza economica del mondo.
Certo, impressiona vedere dei bambini nella divisa dei rivoluzionari, allevati a slogan e parole d’ordine. Ma a dire la verità l’ambiente di Luannan ricorda anche quello ingenuo delle nostre scuole elementari di paese com’erano ancora non molti anni fa. Per arrivarci abbiamo attraversato villaggi fatti di casette e catapecchie in strade polverose cosparse di spazzatura e plastica; sui tetti pile di pannocchie di mais lasciate ad asciugare. Niente a che vedere con la Cina seconda potenza economica del mondo.
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