Spesso, chi parla del cinismo delle relazioni internazionali è accusato di essere cinico. «Noi — disse lo statista inglese lord Palmerston nel 1844 — non abbiamo alleati eterni né nemici perpetui. Solo i nostri interessi sono eterni e perpetui». Cento anni più tardi, Charles de Gaulle gli fece eco, generalizzando il concetto: «Gli Stati non hanno amici. Hanno solo interessi». Paradossalmente, Palmerston e de Gaulle furono considerati cinici in uno dei rari momenti in cui erano stati perfettamente onesti. Come il primo ministro ungherese Ferenc Gyurcsány, che nel 2006 provocò incidenti e sommosse in tutto il Paese per aver ammesso di aver «mentito mattino, sera e notte», cioè l’unica volta in cui, in tutta evidenza, non stava mentendo.
Le frasi di Palmerston e de Gaulle non fanno che ribadire il principio della «ragion di Stato», secondo cui ogni considerazione di ordine morale dev’essere subordinata all’interesse nazionale (o secondo cui la morale coincide con l’interesse nazionale, come nel caso dello «Stato etico»). Ma quel principio era stato abbondantemente praticato prima ancora di essere concettualizzato nel Cinquecento. Durante la crociata contro gli albigesi, nel 1209, il legato papale Arnaud Amaury risolse così il problema di individuare le poche centinaia di eretici che vivevano tra i 12 mila abitanti di Béziers: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi». La frase, forse, è spuria, ma il massacro no, e fu grazie alla conquista di Béziers che il cattolicissimo re di Francia guadagnò l’accesso al Mediterraneo.
Si può affermare che il tasso di cinismo nelle relazioni internazionali sia mutato nel corso della storia? Certamente, perché le nostre priorità morali sono cambiate, e perché la società di massa, con le sue guerre e le sue elezioni, impone di coprire gli interessi reali dell’azione politica sotto coltri sempre più spesse di proclamate buone intenzioni. Ma è mutato anche perché l’attenzione che le masse dedicano all’azione politica è oggi più volubile: se il Sudan perde i suoi pozzi di petrolio, e la crisi del Darfur cessa di essere un argomento di mobilitazione politica, il pubblico non se ne accorge neppure, perché la sua attenzione si è già spostata altrove.
Oggi è molto comune che la morale sia non soltanto subordinata agli interessi, ma che ne diventi uno strumento. A differenza di tutti gli altri popoli sradicati dalle loro terre settant’anni fa, per esempio, solo i palestinesi vivono ancora nei campi profughi; e questo per la semplice ragione che tutte le potenze regionali si sono servite delle loro sofferenze come pedine politiche. Integrandoli, e dando loro una casa e un lavoro, non ci sarebbe stato più un dramma palestinese da sventolare sotto il naso degli avversari. In altre parole: i palestinesi che soffrono sono utili; i palestinesi felici non interessano a nessuno.
L’uso a intermittenza dei diritti dell’uomo è uno dei campi in cui il cinismo si esercita con più disinvoltura. Il colpo di Stato in Egitto del 2013 ha provocato più vittime della repressione di Tienanmen del 1989; eppure, nei confronti della Cina vige ancora l’embargo militare decretato all’epoca, mentre tutti hanno ricominciato a rifornire l’esercito egiziano di armi e soldi, Stati Uniti e Francia in testa. In Siria, ricordiamo quante volte la famosa «linea rossa» minacciosamente tracciata da Obama è stata oltrepassata, provocando solo un abbozzo di indignazione senza conseguenze. Per anni, gli americani hanno fatto campagne sui diritti delle donne calpestati in Iran, ignorando quel che succedeva in Arabia Saudita; da quando Washington ha deciso di cambiare le sue priorità nella regione, sta già accadendo il contrario.
Ovviamente, questi sono solo alcuni esempi. Nelle relazioni internazionali del XX secolo, ha scritto Carl Schmitt, si è imposta la «tirannia dei valori»: lo scopo della guerra è diventato la distruzione totale del nemico, «dichiarato fuorilegge e fuori dall’Umanità». Se quello è il parametro, allora più una potenza è forte, e più è costretta ad essere cinica. O, per dirla con Palmerston e de Gaulle, l’uso del cinismo è direttamente proporzionale agli interessi in gioco.
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