Non solo la premier Meloni si sta rimangiando le molte e altisonanti promesse della campagna elettorale, in termini di tasse, inflazione, lotta all’evasione fiscale, pensioni e praticamente in ogni campo. Anche i suoi ministri sembrano seguire il suo esempio poco virtuoso. È il caso, ad esempio, del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che, partito suonando a gran cassa il motivo del merito, ora ha fatto una vera propria giravolta all’indietro in tema di reclutamento dei docenti. Dall’affermazione perentoria della centralità del merito si è passati molto velocemente alle scelte di sempre che acuiscono i problemi invece che risolverli.
La questione del reclutamento dei docenti è veramente spinosa. Anni di voluta incuria e negligenza da parte della classe politica e del Parlamento hanno generato una situazione veramente kafkiana. Oggi un insegnante su quattro nella scuola italiana è precario, cioè è assunto con un contratto a termine. La scuola, dal punto di vista lavorativo, è la prima fabbrica della precarietà. Poiché ogni anno si pensionano 30-40mila insegnanti, se non vi è un meccanismo di reclutamento adeguato è logico che la platea dei precari si viene ad incrementare in maniera automatica. Poi si è messo di mezzo anche il Pnrr, che ha portato il ministro Bianchi a far approvare a giugno 2022 una legge che prevede un nuovo sistema di reclutamento improntato alla qualità professionale e che richiede un anno di percorso formativo per i futuri insegnanti. Però, siccome mancano i decreti attuativi previsti dalla legge ancora per la fine di luglio 2022, il nuovo meccanismo non è nemmeno partito. Anche il ministro Valditara, a distanza ormai di quattro mesi dal suo insediamento, non ha mosso un dito e la legge è inapplicata per mancanza dei decreti a causa della colpevole inerzia del ministro. Il ministro del merito non sembra essere il ministro dell’efficienza.
Per ovviare al problema del precariato scolastico, si pensava che un ministro di destra, affascinato dal mito del merito, della responsabilità e dell’efficienza, impostasse la questione in maniera differente e la risolvesse in maniera definitiva, seppur graduale. Cioè si arrivasse ad un vero concorso nazionale, ovviamente si base regionale, con il superamento delle canoniche prove scritte e orali. Utopia? No. Questa, in effetti, è stata la soluzione realizzata negli anni Ottanta, quando il problema del precariato era anche più impellente di oggi ed è stato risolto brillantemente anche se non c’era a disposizione la tecnologia odierna.
Stando alle notizie di stampa, il ministro ha chiesto all’Europa, che ci sorveglia anche su questo, una deroga alla legge appena approvata a luglio 2022 sul reclutamento dei docenti. Non essendo entrata in vigore per mancanza di norme attuative, viene già accantonata. Si tratterebbe, in sostanza, di garantire l’accesso all’insegnamento a circa 70.000 docenti con più di tre anni di servizio senza alcun concorso. Non ci sarebbe nemmeno il tradizionale corso riservato per arrivare alla abilitazione e al ruolo, ma l’anno di supplenza servirebbe a questo scopo. Naturalmente poi, per garantire una parvenza di serietà alla selezione, ci sarebbe una prova fine anno che a questo punto diventerebbe però un atto puramente formale. Quale commissione potrebbe giudicare inadatto, cioè bocciare, un docente precario con molti anni di servizio? Difficile. Il reclutamento dei nuovi – si fa per dire – docenti è stato trasformato da Valditara in una specie di lotteria riservata ai fortunati che verranno scelti, non si sa ancora con quali criteri. Forse per anzianità di servizio come al solito? Naturalmente il ministro promette solennemente che questo reclutamento, senza concorso e senza merito, è solo un’eccezione e che il nuovo sistema entrerà in vigore l’anno prossimo. Ma chi può credere alle sue promesse bugiarde? È certo che anche l’anno prossimo la folla dei supplenti triennalitisti reclamerà a ragione i suoi diritti e così via senza soluzione di continuità.
Perché questa deroga è l’ennesima scelta sbagliata per la scuola italiana? Semplicemente perché impedisce l’accesso all’insegnamento a molti giovani laureati che vogliono mettersi alla prova. Questo non significa che l’esperienza dei supplenti non vada debitamente considerata nel contesto delle prove concorsuali. Quando l’Italia era un paese normale la procedura era la seguente: il candidato doveva superare le prove e poi il servizio pregresso gli offriva un punteggio aggiuntivo, in maniera equa e trasparente. A nessuno sarebbe venuto in mente di escludere a priori potenziali e meritevoli candidati. Restringere il concorso alla coorte dei supplenti triennalisti e oltre è una vecchia pratica che sembrava abbandonata e che invece il ministro del de-merito ha riesumato. Il messaggio a questo punto è chiaro: la scuola non è un luogo per giovani laureati che possono mettersi in fila e aspettare il loro turno dopo qualche anno di precariato. Più che il ministro del merito, Valditara si qualifica come ministro del precariato.
Ora il ministero dell’istruzione ha per acronimo MIM (Ministero dell’Istruzione e del Merito), parola palindroma, che si può leggere cioè sia da destra che da sinistra. Anche la politica scolastica in questi anni è stata palindroma: destra e sinistra non si sono comportate molto diversamente, lasciando irrisolti i nodi del sistema scolastico a partire dall’accesso all’insegnamento. Intanto migliaia di aspiranti sono in attesa da molti mesi dei decreti attuativi per poter accedere alla professione docente. Una bella class action contro un ministro inoperoso e incompetente sarebbe un atto dovuto, oltre che necessario.
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