Posso dire che non ho mai capito cosa ci sia di così riprovevole ad astenersi alle elezioni? In occasione delle recenti elezioni comunali di Roma i commentatori si sono strappati i capelli perché l’astensione ha superato la soglia del cinquanta per cento. E allora? A Londra, dov’è stata inventata la democrazia rappresentativa – quella diretta l’hanno inventata ad Atene, dove però non votavano le donne, gli schiavi e molti altri – l’ultima percentuale di votanti è stata del 38 per cento, e percentuali simili hanno concorso più volte all’elezione del sindaco di New York, Bloomberg. Ma le amministrative non vi vanno bene e vogliamo parlare delle politiche? Ok, l’afflusso al voto raggiunto in Italia a febbraio, il 75%, sarà anche di quindici punti in meno rispetto al 1979, quando è cominciato il calo: ma è di cinque punti in più rispetto alla Germania, di dieci rispetto al Regno Unito, di sedici rispetto al Giappone.
Il problema, però, non sono i numeri. Il punto è: se a uno non gliene frega niente del proprio paese, oppure pensa che i politici fanno tutti ugualmente schifo, oppure non capisce un tubo di politica, oppure è completamente disinformato dai telegiornali, oppure tutte queste cose insieme, perché mai dovrebbe andare a votare, oltretutto votando a vanvera? Non fa molto meno danni, tutto considerato, se se ne resta a casa? Certo, l’art. 48 della Costituzione definisce il voto «un dovere civico», e alla Costituente si discusse se non definirlo addirittura un dovere morale. Il fatto è che la Democrazia Cristiana, parlandone da viva, temeva l’arrivo dei cosacchi a Piazza San Pietro, e impose addirittura che la menzione «non ha votato» fosse iscritta nel certificato di buona condotta, il che spiega le percentuali bulgare raggiunte dalle nostre elezioni sino al 1979. Per la cronaca, però, la sanzione non è mai stata applicata, ed è stata formalmente abolita nel 1993.
La questione, invece, sta un po’ diversamente per i referendum. Lì il voto non vale se non si raggiunge il quorum: e l’invito di Craxi e Berlusconi di andarsene al mare, e dei vescovi a boicottare consultazioni che altrimenti avrebbero infallibilmente perso, suona effettivamente come una canagliata. Ma per tutte le altre consultazioni elettorali no: meglio che votino quelli che ci capiscono qualcosa. Per esempio, mio figlio ventenne, che di politica ne capisce ancor meno del padre, non ha mai votato in vita sua. E allora? Dovrei forse volergli meno bene per questo, oppure, da liberale, rispettare una scelta che non condivido?
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