sabato 4 luglio 2015

FILOSOFIA POLITICA. HEIDEGGER ANTISEMITA. P. TRAWNEY, Heidegger non va messo al bando Ma il suo antisemitismo è innegabile, CORRIERE DELLA SERA, 4 luglio 2015

Da quando, nella primavera del 2014, sono stati pubblicati i primi volumi dei Quaderni neri , è mutato il confronto con Martin Heidegger. I passi antisemiti, che risalgono al periodo della persecuzione, della deportazione e dello sterminio degli ebrei, hanno provocato uno shock non solo tra gli studiosi di Heidegger. È come se l’opinione pubblica europea fosse stata riavvolta da un’ombra che credeva di essersi lasciata alle spalle. Nel contesto storico della Shoah un grande filosofo - un «signore del pensiero», come lo ha chiamato Paul Celan - ha errato, ha preso strane direzioni che lo hanno portato fuori strada. Le discussioni intorno al filosofo si sono inasprite, le posizioni si sono irrigidite. Ma i vari argomenti sembrano comunque provare che la questione ha una spettrale attualità. 



In alcuni Quaderni neri, che risalgono al periodo che va dal 1938 al 1946, si trovano osservazioni sull’ebraismo, sull’ebraicità, o sul cosiddetto «ebraismo mondiale», che non possono essere considerate altro che antisemite. I Quaderni mostrano con chiarezza che Heidegger ha ripreso supinamente nel suo pensiero gli stereotipi sull’«ebraismo mondiale», diffusi nella propaganda del tempo. Sebbene fosse molto critico verso la macchina propagandistica del Terzo Reich, gli sfuggì che le sue affermazioni finivano per urtare in modo inaccettabile la reale sofferenza delle persone. 
Alla fine degli anni Trenta, nel suo crescente isolamento intellettuale, Heidegger raccontò a se stesso una storia che non aveva più alcun nesso con le effettive vicende storiche. Solo i tedeschi (o forse anche i russi) avrebbero potuto salvare il mondo da una modernità in grado di offrire quel che l’ebraismo sembrava rappresentare: l’affermazione del progresso tecnico, la mobilità cosmopolita, il calcolo economico e un’intellettualità «senza suolo» che avrebbe facilmente potuto appropriarsi di ogni cosa. Heidegger trovò un’alternativa a questo mondo nei frammenti dei presocratici e nelle poesie di Friedrich Hölderlin . 
L’identificazione di ebraismo e modernità è stato un cortocircuito per molti antisemiti europei. Non è facile - o forse è sin troppo facile - chiarire perché l’ebraismo abbia svolto per Heidegger questo ruolo. È possibile che abbia contribuito la sua visione limitata del monoteismo ebraico. Nel Dio della creazione Heidegger ha scorto una sorta di Super-tecnico. E ha voluto, inoltre, vedere nella predilezione per il politeismo greco una tendenza antitotalitaria del suo pensiero. 
Il «monoteismo ebraico-cristiano» sarebbe - così ha detto - la fonte di tutti «i moderni sistemi di dittatura totalitaria» - un’idea difficile da accettare, dato che è lo stesso Heidegger - in molti passi dei Quaderni neri - a fare del nazionalsocialismo un epigono dell’ebraismo. 

Nell’attuale controversia intorno a questi argomenti si possono distinguere tre prospettive divergenti. Da ormai quasi dieci anni Emmanuel Faye ha tentato di dimostrare che il pensiero di Heidegger non sarebbe altro che un consapevole indottrinamento della filosofia, in cui sarebbe stata introdotta l’ideologia nazionalsocialista. Heidegger sarebbe un pericoloso distruttore della ragione. Faye legittima il proprio progetto con l’atteggiamento della résistance . A volte il suo attacco è sopra le righe - ad esempio quando sostiene, in tutta serietà, che Heidegger potrebbe essere stato il ghostwriter pagato per scrivere i discorsi di Hitler. Il moralismo della sua argomentazione assume toni da requisitoria del procuratore che vuole proscrivere Heidegger dalla filosofia. Il problema sta proprio qui. Chi con pretese morali vuole preservare la filosofia, evitare che si smarrisca nelle tenebre e negli abissi, mette in questione la libertà di pensiero. Non potrebbe esserci nulla di peggio, per la libertà del pensiero, che un controllo o un autocontrollo morale. 
Una seconda posizione è quella assunta da Donatella Di Cesare. Heidegger è finito per lei in un «antisemitismo metafisico» che ha una lunga storia. E secondo me è sensato criticare Heidegger facendo emerge i nessi che legano il suo antisemitismo con una tradizione che, attraverso Nietzsche, Hegel, Fichte e Kant, giunge fino a Lutero. Di Cesare, a differenza di Faye, non crede che si debba farla finita con il pensiero di Heidegger. A mia volta condivido questa visione articolata, senza concordare su ogni argomento. 

La terza posizione è quella che solo qualche giorno fa ha assunto pubblicamente Friedrich-Wilhelm von Hermann, professore emerito e ultimo assistente di Martin Heidegger. Per lui le affermazioni di Heidegger sugli ebrei sarebbero irrilevanti nel contesto «sistematico» del suo pensiero. Secondo von Hermann io avrei diffamato Heidegger, definendo «antisemiti» quei passi, al solo scopo di trarre un profitto personale dal vortice mediatico. Questa accusa ha riscosso un certo successo fra coloro che con interesse seguono questo dibattito. Così non ci si accorge, però, che connettere la riserva nei confronti dei media con la stigmatizzazione di un critico, accusato di guardare solo al denaro, porta più vicino, di quanto si vorrebbe, a certe posizioni pregiudiziali che dovrebbero semmai essere tema di riflessione. 
Gli attacchi neonazisti a Donatella Di Cesare dimostrano che la discussione sui Quaderni neri di Heidegger è tutt’altro che una faccenda accademica. La Shoah non ci è vicina solo per la sua dimensione drammatica. Si sbaglia chi crede che l’antisemitismo sia stato confutato una volta per tutte e sia definitivamente scomparso. Gli antichi stereotipi sono sempre presenti. La discussione intorno a Heidegger potrebbe forse costringerci ad affrontare più attentamente la questione sull’odierno antisemitismo . 

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