Se un quarto di secolo fa Silvio Berlusconi aveva sdoganato, oltre ai (post)fascisti e Gianfranco Fini, anche l’avidità, ora Matteo Salvini sta legittimando (definitivamente) persino la cattiveria. A riprova che l’antico detto “cattiva moneta scaccia quella buona” vale pure in politica. Alla grande.
Immagine di E. Baraldi, da Micromega
Una sequenza al peggio, che ha potuto giovarsi della compiacenza ben oltre le soglie del corrivo da parte di quanti si atteggiavano a diga nell’uragano. La sinistra organizzata, psicologicamente subalterna alla predicazione del “prima arricchitevi” NeoLib, ricucinata nella salsa da Terza Via e in regata chic sulla barca di Massimo D’Alema; il sincretismo ideologico, ambiguo e contraddittorio (oltre che pasticciato, quanto scenicamente efficace), di Beppe Grillo, pronto a strizzare l’occhio a Casa Pound e delegittimare la democrazia reale inseguendo un’utopica volontà generale gestita da un pugno di inappellabili influencer. D’altro canto che cosa ci si dovrebbe aspettare da un imprenditore politico in carriera o da chi se ne va in vacanza a Malindi, regno dell’icona cafonal Briatore, e ostenta frequentazioni amicali VIP con chi calpesta le tavole delle sue stesse leggi pentastellate? Dall’evasore (pur prescritto) Gino Paoli a Renzo Piano, la cui “matita” che non disdegna la cementificazione.
Appunto, gli indizi c’erano. Anche se – come è capitato al sottoscritto – la speranza che una nuova leva di politici-non-politici potesse raddrizzare un ceto dirigente piegato verso l’indecenza invitava a concedere credito. Magari verso giovani sindache che promettevano di reinventare la buona amministrazione, nonostante palesi legami personali e professionali con accertati corruttori e generone infetto.
Certo, quando il succedersi degli indizi ha superato il numero di tre, diventando una canonica prova, qualcuno – come il sottoscritto – è uscito dalla fase della sospensione benevola del giudizio per passare a quella della critica.
Eppure in troppi nella pubblica opinione hanno continuato a non voler vedere la china su cui il Paese continuava a scivolare. Forse per un malinteso politicamente corretto o per l’eterna corsa italiota al vincitore, all’Uomo Forte.
Fatto sta, qui stiamo. Con un governo in cui l’intimidazione zittisce partner flebilmente aggrappati a un pezzo di carta chiamato “contratto” e in difficoltà psicologica, visto che il sovranismo/primatismo/razzismo del tonitruante Salvini non è poi così lontano dalla propria sub-cultura conservatrice. E intanto nel quadro europeo va prendendo corpo un singolare “concerto dei ministri dell’interno”, dal nostro vice-premier leghista al tedesco Horst Seehofer, agli austriaci e a quelli di Visegraad, che scalpellano l’Europa della tolleranza e dell’inclusione con l’alibi della sua attuale involuzione finanziario-tecnocratica. Tipico esempio demagogico di strumentale eliminazione del bambino insieme all’acqua sporca.
Intanto l’infezione del virus avidità virato a cattiveria avanza, contagiando larghi strati del nostro Paese. Visibilmente nel popolo del web, a cui l’incanaglimento comunicativo ha sdoganato un ricorso al trucido senza più remore. Per cui si calpesta tutto e tutti impunemente. Dai blogger che inseguono un ragionamento da contrapporre allo spurgo del delirio, alla figura fino a ieri non lambita dall’insulto seriale: papa Bergoglio, ormai apostrofato con il “tu” più sprezzante.
Sarà difficile in tale contesto ripristinare un minimo spazio di civiltà (o – più modestamente – di buone maniere). Forse si potrebbe partire proprio dai blog, iniziando a replicare senza timore a chi inquina questa preziosa agorà virtuale con la propria rabbia schiumante. Nel mio piccolo, io ci provo.
Pierfranco Pellizzetti
(20 giugno 2018)
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