BERLINO – Ulrich Beck non ha dubbi. Nell'Unione Europea il nazionalismo è il peggiore nemico degli Stati e un allontanamento della Gran Bretagna dal club al quale ha aderito nel 1973 sarebbe un «suicidio». Londra perderebbe la sua relazione speciale con gli Stati Uniti, «cosa di cui peraltro è stata già avvertita», e finirebbe per dover dare l'addio anche alla Scozia e al Galles. Ma c'è un altro tipo di nazionalismo, altrettanto pericoloso. È quello che si realizza imponendo in Europa la propria forza. Questo è il caso della Germania.
Mentre il governo Cameron «ripensa» la sua politica europea, l'analisi delle mosse britanniche si lega quindi alle riflessioni che il grande sociologo tedesco sta compiendo da tempo sulla crisi che ha destabilizzato il Vecchio Continente. Al centro della sua attenzione c'è soprattutto il rischio di una deriva «euronazionalista» che può essere il risultato della politica di Angela Merkel e che può diventare la prosecuzione di quel «nazionalismo del marco» su cui è stata costruita l'identità del Paese nel dopoguerra. Il predominio tedesco manca tra l'altro di una autorità formale, all'interno di un'Europa della quale vanno invece vanno ripensate le istituzioni. «Oggi — dice Beck — il numero di telefono per chiamare l'Europa è quello di Angela Merkel».
L'autore di «La società del rischio» teme il rinascere di quel concetto di «Europa tedesca» contro il quale aveva messo in guardia, sessanta anni, fa uno scrittore come Thomas Mann. Era stato anche Helmut Kohl, il cancelliere dell'Unità, a citare l'autore della Montagna incantata per rivendicare le ragioni di una «Germania europea». Nell'analisi di Beck lo scenario di una egemonia tedesca in Europa non viene perseguito direttamente, ma può essere la conseguenza del «potere speciale» che Berlino ha ottenuto nell'Ue. «Siamo — ha osservato — i grandi vincitori della crisi».
Qualche mese fa, in occasione della pubblicazione del suo libro «Das deutsche Europa», Beck aveva parlato di modello «Merkiavelli», individuando un'affinità tra la cancelliera tedesca e Niccolò Machiavelli nella concezione dell'esercizio del potere. Ma non si tratta soltanto di una «scaltra combinazione» tra la difesa in Germania di una politica di concertazione e il sostegno nel resto d'Europa a programmi «neoliberisti». C'è qualcosa di più. A giudizio di Beck, che è tornato ieri su questi temi in un'ampia intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il «metodo» che la cancelliera ha in comune con il grande pensatore e letterato fiorentino è «la tendenza alla non azione, all'agire dopo, all'esitare intenzionalmente» per consolidare nel suo caso il potere della Germania rafforzando la dipendenza dei Paesi deboli dalla scelte tedesche.
In questo scenario, il nodo centrale della posizione tedesca in Europa è legato anche al rapporto con l'opinione pubblica e al grado di novità delle scelte che possono essere condivise. Beck dà atto alla cancelliera di essere riuscita a consolidare l'impegno della Germania nonostante la crescente disaffezione dell'elettorato. Ma è riuscita a farlo, a suo giudizio, grazie anche alla politica «merkiavellistica» e alla capacità di compiere passi avanti e indietro sui grandi temi dell'Unione. È un'analisi che lascia aperti molti interrogativi sul futuro, particolarmente in un anno dominato dalla scadenza delle elezioni di settembre. Il rischio è che la politica del rinvio, oltre che una strategia, possa diventare una necessità. In grado di bloccare completamente il cammino dell'integrazione.
Nessun commento:
Posta un commento