Contraddizioni Dall'accettazione delle leggi sulla flessibilità, che hanno spalancato le porte al precariato, alla guerra del KosovoIl paradosso di Sansonetti sui postcomunisti fa sparire il Psi
S i conoscevano molte sinistre. Quella riformista e quella rivoluzionaria, quella massimalista e quella moderata, quella comunista e quella socialista, anarchica, radicale, extraparlamentare, cristiana, ecologista. Ma ce n'è un'altra, sinora poco conosciuta, indicata nel titolo di un nuovo libro scritto da Piero Sansonetti: La sinistra è di destra (Rizzoli, pp. 232, 11). Non la destra della sinistra. No, proprio la sinistra di destra. Che si dice di sinistra, ma fa politiche di destra. Anche quando potrebbe vincere, dice Sansonetti. Ma non lo fa, per timidezza e subalternità culturale.Il libro di Sansonetti si muove tra due territori, anzi tre. Quello della memoria personale di giornalista di sinistra che per anni ha lavorato e ricoperto ruoli di responsabilità nel giornale organo del Pci e poi del Pds, «l'Unità». Quello storico-politico in senso stretto, con particolare attenzione alle vicende che hanno caratterizzato la sinistra post comunista nella Seconda Repubblica. E quello teorico, nel senso del giudizio che viene dato sulla storia complessiva della sinistra italiana.Sul piano teorico, la sinistra descritta da Sansonetti, quella attuale, è un oggetto misterioso: avrebbe la possibilità di sfondare e non lo fa. Ha predicato per decenni la fine del capitalismo, una società diversa da quella retta dai meccanismi del mercato. E ora che il capitalismo e il mercato boccheggiano in una crisi radicale, ora che mostra la corda anche il «liberismo», una creatura che in Sansonetti e in tanti altri detrattori si trasforma in una specie di mostro culturale e nel responsabile di ogni nefandezza finanziaria, comprese quelle degli Stati, la sinistra non si mostra desiderosa di assestare la spallata finale. Anzi, diventa sempre più subalterna alle logiche «liberiste». Ecco una ragione per cui, secondo Sansonetti, la sinistra italiana d'oggi è irrimediabilmente di destra.L'altro motivo per cui la sinistra sarebbe abbastanza e troppo di destra risiede nella sua storia degli ultimi vent'anni, e precisamente nella seconda metà degli anni Novanta, quando accede al governo dell'Italia nel pieno della Seconda Repubblica. Secondo Sansonetti la sinistra al governo fa tre cose terribili per una sinistra al governo. La prima: fa la guerra del Kosovo, venendo meno alla sua anima pacifista e ignorando l'articolo 11 della nostra Costituzione. La seconda: fa una politica sul mercato del lavoro subalterna alle logiche del mercato e con alcune leggi sulla «flessibilità» spalanca la porta del precariato, del lavoro incerto, della disponibilità «padronale» sui giovani alla ricerca di un'occupazione. La terza: avvia una politica sull'immigrazione di tipo difensivo, instaurando una distinzione tra «clandestino» e «regolare» a suo avviso foriera di sviluppi negativi, fino alla promulgazione della legge detta Bossi-Fini. Solo che, obietta Piero Sansonetti, sia Bossi che Fini sono organicamente, geneticamente, culturalmente di destra, mentre la sinistra non dovrebbe essere di destra. Ma essendosi comportata come la destra, dunque non sarebbe così arbitrario ed esagerato tornare al titolo del libro: La sinistra è di destra.Poi c'è il piano più personale e più autobiografico. Si presenta sul palcoscenico di Sansonetti tutta la galleria dei politici del Pci e dei partiti che con la fine del Pci hanno raccolto la sua eredità. Sono i dirigenti di partito che appartengono a generazioni diverse, dai «vecchi» Gerardo Chiaromonte ed Emanuele Macaluso, fino alla generazione dei D'Alema e dei Veltroni che dirigono «l'Unità» in anni diversi e portano la loro impronta sul loro giornale, che è anche il giornale organo del partito. Il racconto di Sansonetti non è affatto neutro e spassionato. Anzi. Prevalgono antipatie, idiosincrasie, affinità e tensioni caratteriali. Quello di Walter Veltroni è il ritratto più severo. Quello di Massimo D'Alema, sia pur bonariamente critico, è quello più indulgente. Ma al di là dei dati personali, emerge dalla narrazione di Sansonetti una continuità culturale tra il Pci da lui conosciuto e le formazioni politiche che sono nate sulle ceneri del Pci, che fa pronunciare all'autore una sentenza molto categoricamente liquidatoria: la sinistra italiana è ancora succube di tic culturali di tipo stalinista, che si traducono in censure, modelli autoritari, tentazioni giustizialiste e in una complessiva incapacità di fare seriamente e profondamente i conti con la storia del comunismo. Una critica molto radicale, che però mette in luce il limite maggiore delle riflessioni di Sansonetti: quello di essere formulate in un ambito culturale, politico ed esistenziale di tipo esclusivamente comunista o postcomunista. Sansonetti potrebbe obiettare che quella è esattamente la sinistra che lui ha conosciuto. È vero. Ma non tutta la sinistra è riducibile alla sinistra che Sansonetti ha conosciuto. Ci sono pagine dedicate a Craxi e al trattamento feroce che l'opinione influenzata dal Pci riservò al leader del riformismo socialista. Ma è solo uno spicchio di attenzione verso una sinistra cresciuta in una dimensione storica decisamente polemica nei confronti del comunismo e che non avrebbe esitato nemmeno a definirsi francamente anticomunista. È un tassello importante nel mosaico della sinistra, tra l'altro bollato dalla sinistra di marca Pci come una sinistra «di destra». Ritorna questa definizione nel libro di Sansonetti, stavolta a parti rovesciate. Un destino. E un paradosso, per una sinistra che non riesce ad essere di sinistra.RIPRODUZIONE RISERVATA
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