Tanto meno a due soggetti, come il fondo Clessidra e il pubblicitario Urbano Cairo, titolari delle due offerte rimaste in gara, in fortissimo odore di berlusconismo. Franco Bernabè forse non ne può più di ripianare ogni anno i milioni di perdita di Ti Media, ma è certamente attento a non realizzare vendite o svendite che possano far sospettare Telecom di praticare favori a questo o quel protagonista del mondo imprenditoriale, magari con diretti interessi politici, proprio in coincidenza con una campagna elettorale assai delicata.
Una perdita di 60 milioni
Un paio di numeri danno il quadro della situazione: Ti Media oggi capitalizza in Borsa circa 225 milioni di euro, più o meno pari all’indebitamento di 224 milioni. Il processo di dismissione delle infrastrutture e della tv non ha portato finora i risultati sperati. Offerte insufficienti, tra l’altro gravate da richieste poco eleganti da parte dei possibili compratori che vorrebbero un impegno di Telecom anche in futuro. Arrivati a questo punto, e proprio nel bel mezzo di una campagna elettorale decisiva per le sorti del paese, Telecom potrebbe anche percorrere un’altra strada rispetto alla cessione di Ti Media.
E qui entra in scena un piano di riorganizzazione dei palinsesti, di tagli dei costi, di focalizzazione degli obiettivi editoriali che potrebbe determinare, secondo le stime che circolano, un risparmio di 50 milioni di euro nei primi sei mesi del 2013. Se fosse raggiunto questo obiettivo il bilancio di quest’anno si avvicinerebbe di molto al pareggio. Si tratterebbe di fare qualche sacrificio: Telecom dovrebbe mantenere ancora il controllo del gruppo tv anche se i grandi soci non ne vogliono più sentir parlare e pure i dipendenti di Ti Media dovrebbe pagare il prezzo della riorganizzazione.
A questo proposito pare che la prima fila dei “volti” più noti de La7 sarebbe disposta a ridurre i propri compensi per accompagnare responsabilmente la fase di risanamento. La risposta definitiva toccherà agli azionisti di comando di Telecom Italia, cioè Telefonica, Generali, Mediobanca, Intesa San Paolo, che hanno finora raccolto ben poche soddisfazioni dal controllo dell’ex monopolista delle telecomunicazioni che rimane, tuttavia, una delle grandi attività industriali e tecnologiche del nostro Paese. Respinta l’offerta dell’egiziano Sawiris che era pronto a investire fino a 3 miliardi di euro in Telecom sottoscrivendo azioni a prezzo di mercato, per la società rimane aperta la questione del rafforzamento patrimoniale, della riduzione del debito e del finanziamento di nuovi investimenti, magari in Brasile dove il gruppo ha grandi possibilità di crescita.
I soci di comando resisteranno?
Il cambio di passo per Telecom, gravata da un debito di circa 30 miliardi e in assenza dell’arrivo di capitali freschi, potrebbe essere rappresentato dal passaggio della rete di accesso a una newco costituita con la Cassa depositi e prestiti. Bernabè sta negoziando e presto si vedranno i risultati. Le valutazioni di Telecom e della Cassa per la rete sono distanti, ma forse un accordo potrebbe essere indispensabile per aiutare l’ex monopolista delle telecomunicazioni a definire una nuova strategia di sviluppo e per mettere a tacere, almeno per il momento, i lamenti di privati interessati che rivendicano l’esproprio della rete telefonica.
Prima di Natale il consiglio di amministrazione di Telecom è stato unanime nell’affidare a Bernabè il mandato a trattare con la Cassa depositi e prestiti. Resta però da capire se qualora fosse raggiunto un accordo per la separazione della rete da Telecom, con un adeguato ritorno economico per l’ex monopolista, tutti gli azionisti confermerebbero il loro assenso. La rete è il pezzo più pregiato di Telecom, ed è un’infrastruttura strategica per l’intero paese. Nessuno può pensare di affidarla a qualche privato, a qualche Montezemolo di passaggio.
Nessun commento:
Posta un commento