C’è un gran viavai nell’anticamera della sala di Clemente VII, al piano nobile di palazzo Vecchio. Senza neanche troppo riguardo per le apparenze, è infatti iniziata una processione di fedelissimi aspiranti alla successione del sindaco “rottamatore”. Al secolo Matteo Renzi, da Rignano sull’Arno, leva 1975, già presidente della Provincia gigliata nel quinquennio 2004-2009 e mattatore delle primarie e le elezioni fiorentine; sempre meno in animo di rinnovare il mandato di primo cittadino e sempre più in predicato di succedere alla segreteria di Guglielmo Epifani, ma ancor più di concorrere alla premiership, in virtù delle primarie “accluse” al congresso che il Pd sta per celebrare.
Nardella in pole position per la successione. Dalle primarie vinte sorprendentemente al primo turno su figure di apparato come Lapo Pistelli e Michele Ventura, Renzi ha messo abbastanza all’angolo il Pd fiorentino. E ora avrebbe in animo di richiamare ai piedi della torre d’Arnolfo l’ex vice Dario Nardella, che aveva rimesso le deleghe a sviluppo economico, lavoro, bilancio e sport per un seggio da deputato alle politiche di primavera. Classe 1975 pure lui, trapiantato all’ombra del cupolone da Torre del Greco nel 1989, diploma in violino al conservatorio Cherubini nel 1998, Nardella condivide con Renzi anche gli studi e la laurea in giurisprudenza. Anziché la gioventù dc, le frequentazioni cielline e il portaborse a Pistelli, il neo deputato si è però fatto le le ossa nei Ds e nel gabinetto di Vannino Chiti ministro per le Riforme del secondo governo Prodi.
Di lungo corso scudocrociato, invece, la vicesindaca in carica da marzo, Stefania Saccardi. Avvocato, classe 1960, cresciuta alla scuola della sinistra interna di Beppe Matulli, l’esperienza politica al Viminale con Enzo Scotti e poi con la sottosegretaria alla giustizia Daniela Mazzuccon. Entusiasta di Renzi, da cui dice che “ogni giorno imparo qualcosa”, non esibisce un identikit propriamente innovativo. Come del resto Eugenio Giani, che spasima per diventare sindaco ormai da decenni. Mentre gli avversari interni più agguerriti del sindaco manifestano simpatia emblematica per Claudio Fantoni, ex assessore al Bilancio dimessosi polemicamente nel giugno 2012 “per divergenze insanabili” con Renzi, accusato di proporre delibere senza i dovuti pareri di regolarità contabile, ovvero di attingere alla spesa pubblica per coltivare “ambizioni personali”.
Bunga bunga negli uffici comunali. A meno di un anno dalla fine del mandato, in città si moltiplicano i sospetti che il sindaco “lascerà come ha già fatto con la Provincia”, che ha rappresentato il trampolino di lancio della carriera di Renzi, ma dove la sua amministrazione non ha superato proprio indenne il vaglio della Corte dei conti. Quella relativa alla gestione bonapartista e alle mani bucate, in fin dei conti, è la critica più fondata tra gli innumerevoli rimproveri che vengono mossi al rottamatore fiorentino. E anche in questa occasione gli si di voler “solo fare carriera”, preparandosi perciò a “scappare da palazzo Vecchio” per “eludere” i propri insuccessi e altre facezie più o meno scabrose.
Ultima, in ordine di tempo, la vicenda della escort all’assessorato alla Mobilità, benché non abbia neanche sfiorato il sindaco, ma pur sempre indice di una gestione allegra della cosa pubblica. Una impiegata delle pulizie ha colto sul più bello una 42 enne mentre intratteneva un funzionario negli uffici dell’assessorato alla mobilità di via Giotto. La vicenda ha portato a indagare 14 persone per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione (anche minorile). L’assessore alla mobilità, Massimo Mattei, si è dimesso accampando “motivi di salute” a causa della frequentazione con la donna, cui ha dato in uno anche un appartamento. Fonti giudiziarie ritengono inoltre di prossima apertura un “filone interamente politico” dell’indagine, mentre il sindaco ha dovuto correre ai ripari dichiarando che “a palazzo Vecchio non c’è alcun bunga bunga”, ma accogliendo prontamente le dimissioni di Mattei, suo ex punto di riferimento in città, sostituito per cercare di mettere a tacere i pettegolezzi. Contro l’amministrazione ha puntato il dico anche l’arcivescovo Giuseppe Betori puntato contro “l’improvvida voglia di trasgressione”, suscitando la reazione piccata del sindaco.
I 36 milioni persi per la tramvia. Di altra natura il fatto che stiano evaporando i 36 milioni di euro di finanziamenti per le linee 2 e 3 della tramvia. E’ stato infatti appurato che i lavori non potranno concludersi per il 2015, termine imposto per l’erogazione del finanziamento europeo per la mobilità sostenibile. Anche se il governatore toscano Enrico Rossi intende chiedere ai funzionari di Bruxelles “di prorogare l’investimento”, giustificando la richiesta con le spese già affrontate. I 7,6 km della linea 1, per costruire i quali sono stati impiegati 6 anni, sono costati 263 milioni di euro; il costo complessivo del sistema – comprensivo di 7,4 km della linea 2 e 3,4 della linea 3 – raggiunge invece sulla carta i 680 milioni di euro. Cifre e tempi comunque esorbitanti per l’Europa e per l’Italia.
Nel quadro della stretta creditizia dovuta alla crisi, le banche hanno sospeso la rinegoziazione del mutuo chiesto dalla ditta costruttrice, Impresa spa (subentrata a Btp e Consorzio Etruria, a loro volta già falliti) per fronteggiare le difficoltà. Dal momento poi che lo strumento del project financing esenta la pubblica amministrazione da oneri finanziari, sono sempre le banche (tra cui Monte dei Paschi) a volere dalla società “Tram Firenze” maggiori garanzie, riguardo soprattutto al numero di passeggeri necessario per rientrare di tutti i costi di costruzione. L’opera rischia così di gravare sulle casse pubbliche attraverso l’intervento della Cassa depositi e prestiti e della regione. Un discreto smacco per Renzi, dal quale si attende ancora quel Piano della Mobilità promesso all’atto dell’approvazione del Piano Strutturale nel 2011.
L’eclissi fallimentare del Maggio musicale. Altra nota dolente riguarda l’eclissi del Maggio musicale fiorentino, per un cinico gioco del destino proprio nell’ottantesimo anniversario della sua fondazione. Da istituzione delle più prestigiose sia nel panorama nazionale che internazionale nelle stagioni di lustro del secondo dopoguerra, nelle ultime tormentate stagioni il Maggio fiorentino è scivolato nell’oscurità dell’oblio, fino e al limite del fallimento imminente. Si tratta di una vicenda che viene di lontano, perché sono diversi lustri ormai che il Maggio musicale ha perso le proprie peculiarità, a cominciare dall’attenzione per l’arte contemporanea tipica dell’età tra le due guerre: difatti lo statuto fondativo prevedeva che nei programmi fosse sempre inserita l’esecuzione o la rappresentazione di opere inedite.
La prima mossa di Renzi è stata la nomina della sovrintendente Francesca Colombo, che però non è stata in grado di fronteggiare la situazione l’ingigantirsi del debito. Il che ha portato al commissariamento del Maggio. Commissario è stato nominato Francesco Bianchi, commercialista 56enne con alle spalle una lunga esperienza alla direzione di istituti di credito e nel mondo della finanza. Sopratutto, però, Bianchi è fratello di Alberto, avvocato del sindaco nonché suo uomo di fiducia alla presidenza della Fondazione Big Bang, il cuore economico del sistema renziano. Il commissariamento, però, ha solo calcolato l’ingigantirsi del buco di bilancio, che va dai 5 ai 9 milioni di euro, a seconda che si calcolino o meno le perdite per le eventuali cause con i dipendenti licenziati. A fronte di questa situazione sindaco e commissario sostengono che “l’unica soluzione per salvare il teatro resta liquidazione”; ma contro questa ipotesi si sono schierati il governatore Enrico Rossi e sopratutto il ministro dei beni culturali Massimo Bray. Certo è che il Maggio fiorentino, così com’è stato, ormai era morto. E l’amministrazione Renzi l’ha sepolto.
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