Dalla Turchia al Brasile, dagli Usa all'Europa, è scoppiata una crisi epocale nel rapporto tra popoli e governi. Un fossato fatto di 'rabbia' e 'disgusto'. Da noi, per ora, si traduce in astensionismo e voti al M5S. Ma poi?
(04 luglio 2013)
I paesi che stanno raggiungendo un elevato livello di sviluppo socio-economico devono fronteggiare domande nuove da parte dei loro cittadini. Oltre alla richiesta di maggiore e più diffuso benessere - a volte, ma non sempre, associata ad aspirazioni di giustizia sociale - i cittadini di quei paesi scendono per le strade per chiedere "più democrazia". I giovani turchi di Gezi Park e Piazza Taksim così come i loro omologhi brasiliani di San Paolo e Rio de Janeiro, al di là dei motivi contingenti delle proteste, chiedono innanzitutto di essere ascoltati e di ricevere risposte dai governanti.
Chiedono, in sostanza, che il sistema politico sia ricettivo e rispondente, e quindi che accresca la "qualità" della democrazia. Lo stesso avviene, mutatis mutandis, anche nei paesi di democrazia consolidata: gli studenti britannici che protestavano per l'aumento delle tasse universitarie nell'inverno 2011, o il movimento di Occupy Wall Street con le sue filiazioni in tutta Europa, non sono così distanti nel loro impulso a manifestare dai loro coetanei nei paesi di recente prosperità. Quello che emerge in forme diverse e varie parti del mondo è una sottile e corrosiva critica ai fondamenti del nostro sistema sia per manifesta incapacità dei politici, sia per delegittimazione del principio di rappresentanza e del mandato a governare.
Se i leader politici non "ascoltano" e non "rispondono" , il fossato tra governanti e governati non fa che allargarsi. Questa situazione fotografa lo stato attuale del nostro sistema . Il calo di partecipazione alle ultime elezioni è stato considerato da molti come un sintomo di questa sfiducia. In parte può esserlo ma solo se lo si connette con altri segnali del disagio dell'opinione pubblica. Il sentimento prevalente nei confronti della politica (come rivela un sondaggio della Swg effettuato a metà giugno) è quello della "rabbia" seguito dappresso da quello del "disgusto". Per la precisione il 40 per cento e il 38 per cento degli italiani esprimono in misura prioritaria questi sentimenti che, non a caso, si ritrovano soprattutto tra gli elettori del Movimento 5 Stelle e tra gli astensionisti. Da dove origina questa disaffezione ormai trasformata in aperta ostilità?
Non tanto dalla crisi economica: certamente esaspera ma da sola non spiega questo rigetto rancoroso della politica. Viene piuttosto dalla perdita di fiducia nella classe dirigente, di cui la classe politica è la componente più vistosa. L'opinione pubblica percepisce "dolorosamente" la mancanza di prospettive, acuita dall'assenza di leader che sappiano interpretare lo stato d'animo collettivo e indicare credibilmente una via di uscita, e la debolezza etico-morale dei governanti e di molte altre figure e istituzioni pubbliche (basti pensare alla crisi di credibilità della Chiesa coinvolta in scandali sessuali e finanziari).
La domanda di moralità e rigore dopo il ventennio del lassismo berlusconiano è travolgente: emerge in maniera sorprendente sia da quel 51 per cento di italiani che mettono al primo posto l'onestà quale requisito indispensabile per far ripartire il paese, sia dal marchio di infamia che circonda gli evasori, considerati i peggiori nemici della nostra società, addirittura sopra la criminalità organizzata e anche, con ampio distacco, politici e banche, per molto tempo individuati come la causa di tutti i mali (dati Swg).
Queste richieste si collocano sulla stessa lunghezza d'onda dei giovani che manifestano in altre parti del mondo. Rispondervi è una necessità per la buona salute del sistema democratico. Lasciarle inevase fa aumentare a livelli devastanti il potenziale di protesta. Di qui la necessità di una nuova classe dirigente e politica all'altezza della sfida. Tanto in politica quanto nella società civile devono affermarsi figure in grado di coniugare ascolto, affidabilità e progettualità.
Chiedono, in sostanza, che il sistema politico sia ricettivo e rispondente, e quindi che accresca la "qualità" della democrazia. Lo stesso avviene, mutatis mutandis, anche nei paesi di democrazia consolidata: gli studenti britannici che protestavano per l'aumento delle tasse universitarie nell'inverno 2011, o il movimento di Occupy Wall Street con le sue filiazioni in tutta Europa, non sono così distanti nel loro impulso a manifestare dai loro coetanei nei paesi di recente prosperità. Quello che emerge in forme diverse e varie parti del mondo è una sottile e corrosiva critica ai fondamenti del nostro sistema sia per manifesta incapacità dei politici, sia per delegittimazione del principio di rappresentanza e del mandato a governare.
Se i leader politici non "ascoltano" e non "rispondono" , il fossato tra governanti e governati non fa che allargarsi. Questa situazione fotografa lo stato attuale del nostro sistema . Il calo di partecipazione alle ultime elezioni è stato considerato da molti come un sintomo di questa sfiducia. In parte può esserlo ma solo se lo si connette con altri segnali del disagio dell'opinione pubblica. Il sentimento prevalente nei confronti della politica (come rivela un sondaggio della Swg effettuato a metà giugno) è quello della "rabbia" seguito dappresso da quello del "disgusto". Per la precisione il 40 per cento e il 38 per cento degli italiani esprimono in misura prioritaria questi sentimenti che, non a caso, si ritrovano soprattutto tra gli elettori del Movimento 5 Stelle e tra gli astensionisti. Da dove origina questa disaffezione ormai trasformata in aperta ostilità?
Non tanto dalla crisi economica: certamente esaspera ma da sola non spiega questo rigetto rancoroso della politica. Viene piuttosto dalla perdita di fiducia nella classe dirigente, di cui la classe politica è la componente più vistosa. L'opinione pubblica percepisce "dolorosamente" la mancanza di prospettive, acuita dall'assenza di leader che sappiano interpretare lo stato d'animo collettivo e indicare credibilmente una via di uscita, e la debolezza etico-morale dei governanti e di molte altre figure e istituzioni pubbliche (basti pensare alla crisi di credibilità della Chiesa coinvolta in scandali sessuali e finanziari).
La domanda di moralità e rigore dopo il ventennio del lassismo berlusconiano è travolgente: emerge in maniera sorprendente sia da quel 51 per cento di italiani che mettono al primo posto l'onestà quale requisito indispensabile per far ripartire il paese, sia dal marchio di infamia che circonda gli evasori, considerati i peggiori nemici della nostra società, addirittura sopra la criminalità organizzata e anche, con ampio distacco, politici e banche, per molto tempo individuati come la causa di tutti i mali (dati Swg).
Queste richieste si collocano sulla stessa lunghezza d'onda dei giovani che manifestano in altre parti del mondo. Rispondervi è una necessità per la buona salute del sistema democratico. Lasciarle inevase fa aumentare a livelli devastanti il potenziale di protesta. Di qui la necessità di una nuova classe dirigente e politica all'altezza della sfida. Tanto in politica quanto nella società civile devono affermarsi figure in grado di coniugare ascolto, affidabilità e progettualità.
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