Le accuse della procura e gli avvisi di garanzia in Val di Susa dopo l'assalto del 10 luglio al cantiere. Trovate molotov
Attentato per finalità terroristiche o di eversione. È il reato degli anni bui della Prima Repubblica quello contestato a 12 No Tav. Nella mattinata di lunedì la digos di Torino ha effettuato perquisizioni e consegnato avvisi di garanzia in Val di Susa e a Torino ad antagonisti valligiani ed esponenti dell'autonomia torinese tra cui persone legate al centro sociale Askatasuna.L'OSTERIA - Oltre alle case degli indagati è stata perquisita anche l'osteria La credenza, storico locale di Bussoleno, uno dei classici punti di ritrovo dei No Tav. Il blitz è scattato all'alba, ma gli inquirenti stavano lavorando all'operazione da molte ore. Dal 10 luglio scorso, giornata - anzi nottata - in cui il cantiere della Tav di Chiomonte è stato preso d'assalto da una trentina di incappucciati che hanno lanciato pietre, razzi, petardi e molotov, anche ad altezza d'uomo, contro le reti e contro le forze dell'ordine. Un attacco «stile paramilitare», «particolarmente violento», lo avevano definito dalla procura. L'assalto aveva concluso una manifestazione serale pacifica. Era stato messo in atto all'improvviso. Era stata anche costruita una barricata all'altezza del varco autostradale. Dal giorno successivo i pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, dopo un sopralluogo sul posto in cui erano stati trovati resti di molotov, avevano iniziato ad ipotizzare il reato 280, punito da sei a vent'anni di reclusione.
ESCALATION DI VIOLENZA?- Fino ad oggi nessun Tav era stato denunciato o arrestato per terrorismo. Secondo la procura adesso ci sono gli estremi per farlo. Gli oggetti sequestrati sono armi - è il ragionamento dell'accusa - e il modo in cui sono state lanciate ha messo seriamente in pericolo l'incolumità di molte persone, gli agenti che stavano lavorando. Secondo gli inquirenti c'è stato un cambio di rotta nelle modalità di protesta del movimento No Tav, negli ultimi mesi. Un cambio in cui la violenza si è accentuata, e in cui gli obiettivi degli antagonisti sono diventati azioni più pericolose. Quello del 10 luglio non è stato l'ultimo attacco al cantiere degli ultimi mesi. Pochi giorni dopo, nella notte del 19, centinaia di persone, oltre quattrocento, tra cui molti anarchici provenienti oltre che da Torino anche da Milano, Roma, Rovereto, avevano marciato nei boschi della Val Clarea da Giaglione alle reti. Dopo i primi lanci di petardi, le forze dell'ordine, che erano appostate anche fuori dalle recinzioni, avevano fermato in mezzo alla boscaglia 11 persone. Sette erano state arrestate.
IL MAXIPROCESSO -L'ultimo episodio di tensione è avvenuto venerdì 26 luglio, quando una cinquantina di No Tav è venuta in contatto con la polizia davanti al tribunale. L'occasione era l'interrogatorio di Marta Camposana, 33enne di Pisa, fermata e denunciata nella notte del 19 luglio. La donna ha depositato una querela per violenza sessuale e ha dichiarato agli organi di stampa di essere stata malmenata e toccata nelle parti intime durante la fase del fermo. Tesi respinta - per ora informalmente - da chi operava sul posto quella notte, ma che verrà verificata dalla procura, che ha aperto un'inchiesta sull'episodio. Attualmente sono circa un centinaio i fascicoli aperti al Palagiustizia di Torino su episodi No Tav. È in corso da alcuni mesi il maxiprocesso, che si celebra nella maxi-aula bunker delle Vallette di Torino, in cui sono imputatati per vari reati, dalla resistenza al danneggiamento, 52 No Tav. Finora quattro di essi, persone che fanno riferimento all'area anarchica torinese, hanno rifiutato di essere assistiti da un legale, in segno di rifiuto "dello Stato e di qualsiasi istituzione o mezzo che lo rappresenti o che lo riconosca". Il movimento No Tav, in cui l'autonomia è una componente forte e rappresentata da centinaia di persone, rivendica, nell'ultimo editoriale pubblicato su Infoaut, che «fermare il Tav non è qualcosa di mediabile, non esiste un punto di caduta, esiste una vittoria, ed esiste una sconfitta, null’altro». «I campi di battaglia di questa lunga nostra storia - scrivono gli autonomi - destinata a durare ancora molto, sono ovunque e sono tutti, e non possiamo pensare di sottrarci da alcuno o di metterci meno impegno. La lotta notav è per tutti, proprio perché lotta di popolo, fatta dal popolo, e fa, se lo si vuole, trovare a ciascuno il proprio protagonismo nel campo di battaglia più adatto a sè, incontrandoci altre persone».
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