mercoledì 10 luglio 2013

RENZI IN FERRARI. PIERFRANCO PELLIZZETTI, IL FATTO, 10 luglio 2013

Giorni scorsi, in questo blog molti commentatori mi hanno accusato di non capire le straordinarie doti innovative di Matteo Renzi, politico ipermoderno (qualcuno ha persino buttato là “europeo”: svedese?). Nel frattempo – come una nemesi – è arrivata a smentire apologeti e tifosi fanatici la “Ferrari Cavalcade”; ossia la vicenda grottesca del Ponte Vecchio di Firenze chiuso al passeggio e affittato alla casa di Maranello per le sue azioni promopubblicitarie. E non si entra nel merito del balletto di cifre sciorinate dal sindaco sull’evento: un fee di 120mila euro (ma qualcuno insinua persino meno di 2.500), un ritorno d’immagine valutato alla Signor Bonaventura nel classico “milione”.




Il tema – semmai – è il modello culturale che si esprime con tale scelta amministrativa così strombazzata, ricordando che già Silvio Berlusconi aveva scomodato il “cavallino rampante” quando – da premier –anni fa illustrò in conferenza stampa le strategie manageriali con cui avrebbe affrontato e risolto l’ennesima crisi della Fiat: vendere un po’ di Panda rinominandole “Ferrari junior”.
Corsi e ricorsi del pavoneggiamento narcisistico.
In particolare – allora come ora – l’attenzione concentrata esclusivamente sul brand, presupposto capace di non si sa quali magie comunicative ed emozionali a livello planetario, rivela alcuni aspetti della mentalità che accomunano tanto il giovane Renzi come l’ottuagenario Berlusconi; sempre e comunque riconducibili alla categoria del provincialismo
più imbarazzante:
a) la sudditanza psicologica alla cultura dell’effimero; roba in voga nei decenni scorsi e che ormai ha decisamente stufato (nella riscoperta del “materiale”, indotta dalle devastazioni a seguito delle politiche da “Robin Hood alla rovescia”, portate avanti mentre la gente veniva distratta con dosi industriali di fumisterie);
b) la convinzione che i problemi si possono risolvere con una “cavatina”. Roba da improvvisati furbastri sulla scia dei Chichibio toscani (il cuoco imbroglione immortalato da Giovanni Boccaccia) o i “falchetti” brianzoli, scesi in città per rifilare bidoni ai più ingenui;
c) la passione irrefrenabile della neoborghesia (che poi non è altro che la folta quanto eterna schiera degli arrampicatori sociali) per l’ostentazione più sfacciata della ricchezza. Nel caso del cacicco di Arcore propria, dei propri sponsor e/o protettori per il putto di Rignano sull’Arno.
Insomma, sotto la patina lucidata dalla chiacchiera e dalle comparsate nei talk show, una cesta di idee vecchissime e pure miserrime.
Ma – altresì – perfettamente in linea con i modelli regressivi di un Paese che da tempo ha smarrito la bussola e cerca rifugio nel miracolo atteso. La cui faccia vizza salta fuori appena scosti la maschera: il modernista Mattero Renzi annuncia querele civili e penali all’indirizzo del senatore cinquestelle Maurizio Romani, reo di aver avanzato perplessità sulla baracconata della “Ferrari Cavalcade”. Tipico di un Paese primitivo e dunque rissoso; dove si suole adire le vie legali anche per il più piccolo tiramento di peli. All’insegna dell’italico profondo “lei non sa chi sono io!”.

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