I due eventi si intrecciano, si condizionano, dall'uno possono derivare i tempi e i contenuti dell'altro. Si comincia con l'impegno più gravoso, la riunione della giunta delle immunità chiamata a pronunciarsi sulla decadenza di Berlusconi da senatore dopo la definitiva condanna per frode fiscale. Alla scadenza il Pd arriva sull'orlo di una crisi di nervi. Del resto Berlusconi e i suoi cari stanno facendo di tutto per stressare i parlamentari, aprire crepe nel fronte del sì, giocare sulle contraddizioni interne al partito.
Basta che B. parli perché tutti perdano la testa; basta che annunci richieste di grazia o lanci ultimatum per la sorte del governo per scatenare i dubbi di stuoli di giuristi e il terrore dei peones. E però il Pd sa bene che non sono possibili ripensamenti di sorta, scappatoie, exit strategy: un no alla richiesta di decadenza suonerebbe incomprensibile per il popolo democratico e forse sancirebbe perfino la fine del partito; ma lo stesso sapore avrebbe anche un rinvio a tempo indeterminato di ogni decisione.
Insomma la partita è cominciata, ma il risultato non è scontato. È difficile per esempio che a Renzi riesca l'en plein, cioè conquistare segreteria e candidatura alla premiership: glielo impediranno, baratteranno una carica con l'altra. Perché, alla fine, su tutto sono disposti a chiudere un occhio i maggiorenti del Pd, tranne che sul controllo del partito. Ma non è l'unico ostacolo che lo sfidante incontrerà.
Il paradosso vuole che la sua vittoria passi per un'intesa con i big - Franceschini, Veltroni, Fassino, Bettini - che ora lo appoggiano forse solo nella speranza che ciò serva a scongiurare la fine delle larghe intese; ma passi anche per un tacito accordo con quella che potrebbe diventare domani la minoranza dura e pura che non lo vuole alla guida del partito, ma lo accetterebbe come candidato premier: Bersani, D'Alema, Rosy Bindi. Mostri sacri che un anno fa Renzi avrebbe rottamato e con i quali invece dovrà scendere a patti in vista della battaglia congressuale. Stando ben attento a non farsi travolgere.
A voler azzardare paragoni con la storia della Prima Repubblica verrebbe da pensare più alla congiura del Midas che nel 1976 portò Craxi alla segreteria del Psi che al Patto di San Ginesio che pochi anni prima aveva chiuso nella Dc la stagione dorotea grazie all'alleanza trasversale dei quarantenni (De Mita e Forlani). Allora fu un patto generazionale che oggi nel Pd potrebbero incarnare Letta e Renzi. Ma per ora i loro interessi contingenti divergono. E forse sarà questo a tardare oggi (e forse a favorire domani, chissà) la definitiva conquista postdemocristiana del Pd.
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