domenica 28 settembre 2014

WELFARE IN EUROPA. ALLEGRI G., La cittadinanza ribelle del vecchio continente, IL MANIFESTO, 26 settembre 2014

Contro la mise­ria. Viag­gio nell’Europa del nuovo Wel­fare (Laterza, pp. 150, euro 12) di Gio­vanni Peraz­zoli andrebbe stu­diato e man­dato a memo­ria dalle classi diri­genti pre­senti e future del nostro paese: poli­tici, sin­da­ca­li­sti, impren­di­tori, acca­de­mici, gior­na­li­sti e opi­nion makers


Soprat­tutto nell’eterno dibat­tito ita­liano sull’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori. Per­ché già dalle prime pagine ben si com­pren­dono le migliori con­di­zioni di vita e di lavoro esi­stenti nei Paesi che pre­ve­dono un red­dito minimo garan­tito rispetto a quelli, come il nostro e la Gre­cia, che invece resi­stono a una sua intro­du­zione. Peraz­zoli con­duce infatti un’illuminante inchie­sta sul nuovo Wel­fare intro­dotto da decenni in molti Paesi euro­pei, a par­tire dai «pic­coli» Bel­gio, Dani­marca, Olanda, arri­vando fino ai «grandi» Fran­cia, Ger­ma­nia, Gran Bre­ta­gna. E dice subito che l’architrave di que­sto nuovo Wel­fare, uni­ver­sa­li­stico e non assi­sten­zia­li­stico, è la pre­vi­sione del red­dito minimo garan­tito. Una garan­zia del red­dito che ha carat­tere illi­mi­tato (accom­pa­gna la ricerca di un lavoro e dura quindi anche diversi anni), uni­ver­sale, è rivolta a tutta la cit­ta­di­nanza, ed è vin­co­lata sola­mente alla «dispo­ni­bi­lità a cer­care un lavoro e all’accertamento dei mezzi (non biso­gna essere ric­chi per averne diritto, ma nean­che essere «poveri» e non è neces­sa­rio fare rife­ri­mento a inter­me­diari poli­tici o sindacali)».

UN ACCESSO UNIVERSALE

Sono misure dai diversi nomi, a seconda dei Paesi (nel gergo inglese the Dole, in Fran­cia la sigla Rsa, etc.) già inda­gate nel volume curato dal BIN-Italia, Red­dito minimo garan­tito. Un pro­getto neces­sa­rio e pos­si­bile (Edi­zioni Gruppo Abele), citato dallo stesso Peraz­zoli per riba­dire che in que­sti Paesi il tito­lare del diritto al red­dito è qual­siasi per­sona in cerca di occu­pa­zione, fosse anche la prima (inoc­cu­pati, disoc­cu­pate, inter­mit­tenti e precari-e tra un lavoro e l’altro, etc.). L’autore ricorda poi come tale diritto sia inte­grato da altri stru­menti e bene­fits (allog­gio, riscal­da­mento, spese impre­vi­ste, figli, etc.), per­ché il nuovo Wel­fare state pro­muove una società nella quale gli indi­vi­dui incon­trano tutele e garan­zie che favo­ri­scono l’autodeterminazione di cia­scuno, nella soli­da­rietà col­let­tiva. E il red­dito minimo è un diritto sociale rico­no­sciuto alla per­sona e non un’elargizione con­cessa per­ché si appar­tiene a qual­che cate­go­ria, cor­po­ra­zione, gruppo svan­tag­giato.
In que­sta pro­spet­tiva si eli­mi­nano i mec­ca­ni­smi buro­cra­tici di accesso al sus­si­dio e si favo­ri­sce una migliore rela­zione con i cen­tri per l’impiego. E anche dinanzi alle recenti riforme restrit­tive di que­sti modelli, che fanno par­lare di un pas­sag­gio alwork­fare, con il con­se­guente rischio di imporre lavori gra­tuiti o mal pagati, i livelli di tutela riman­gono ele­vati. Leg­gere per cre­dere gli esempi por­tati da Peraz­zoli sul caso tede­sco dopo la riforma chia­mata Hartz IV, dove una fami­glia di quat­tro per­sone, con geni­tori disoc­cu­pati e due minori, vede ridotto il sus­si­dio di cento euro, otte­nendo ancora 1339 euro men­sili (cui si aggiun­gono i bene­fits).
È que­sta l’Europa figlia del cosid­detto «Rap­porto Beve­ridge», redatto nel 1942 e uti­liz­zato dai labu­ri­sti inglesi per intro­durre il Wel­fare State uni­ver­sa­li­stico, con al cen­tro la garan­zia, per tutte le per­sone disoc­cu­pate, di un red­dito suf­fi­ciente ad assi­cu­rare una vita degna di essere vis­suta. Il modello sociale euro­peo che si è pur­troppo fer­mato al di là delle Alpi, dando ori­gine a quelle «due» Europa sulle quali insi­ste Peraz­zoli, con un punto di vista favo­rito dal fatto che egli stesso vive tra Ita­lia e Olanda. Il suo sguardo sul Bel­paese è addo­lo­rato e spie­tato, poi­ché vede le rovine di uno Stato sociale sem­pre più impo­ve­rito e cor­rotto da classi diri­genti che lo hanno reso for­te­mente cor­po­ra­tivo, buro­cra­tico, assi­sten­zia­li­stico e fram­men­tato, con le per­sone in dif­fi­coltà costrette a con­tare sulla fami­glia e sulle isti­tu­zioni cari­ta­te­voli, rischiando altri­menti di finire sotto i ricatti della mala­vita.
Dal 1992 è la stessa Unione euro­pea che invoca l’introduzione di un red­dito minimo garan­tito in Ita­lia: ce lo chiede l’Europa!
E non si tratta di barat­tare la sta­bi­lità del posto di lavoro, l’occupazione, con l’offerta di un red­dito minimo, poi­ché l’Italia ha già da decenni un alto livello di fles­si­bi­lità e con­tem­po­ra­nea­mente un wel­fare state tra i più ini­qui. Così l’altro merito del libro di Peraz­zoli è quello di scon­fig­gere due arti­fi­ciosi pre­giu­dizi. Da una parte l’odioso luogo comune che pro­prio qui in Ita­lia ha sem­pre con­trap­po­sto la garan­zia del red­dito alla reto­rica della difesa dei posti di lavoro, ma non delle per­sone. Dati alla mano, tutti i Paesi dell’«altra Europa» (quella con il red­dito minimo) hanno migliori tassi di occu­pa­zione e mag­giori tutele per le per­sone senza occu­pa­zione. Dall’altra si smonta il luogo comune sul costo del red­dito minimo, ricor­dando i 30 miliardi di euro spesi annual­mente per le pen­sioni di inva­li­dità, troppo spesso «stru­mento di con­senso clien­te­lare», a sca­pito delle per­sone real­mente biso­gnose di tutele, ma di fatto escluse da un accesso che richiede il coin­vol­gi­mento di veri e pro­pri «micro-imprenditori del con­senso», gene­rando un abuso di false pen­sioni di inva­li­dità di circa dieci miliardi di euro. Cifra suf­fi­ciente per intro­durre una prima forma di red­dito minimo anche in Ita­lia. Qua­lora ci fosse la volontà poli­tica di farlo. Visto che ci sono tre pro­getti di legge sul red­dito minimo dimen­ti­cati nelle stanze del Par­la­mento ita­liano. E con­si­de­rando che una bat­ta­glia per il red­dito minimo garan­tito sarebbe sem­pre più neces­sa­ria e vitale (così Piero Bevi­lac­qua su il mani­fe­sto del 24 settembre).

CON­TRO I CLIENTELISMI

Si arriva così al noc­ciolo della dif­fi­denza ita­liana per que­sto stru­mento. Peraz­zoli sostiene che al fondo ci sia un pro­blema di libertà e demo­cra­zia. La garan­zia di un red­dito e di un wel­fare state uni­ver­sa­li­stico favo­ri­sce l’autonomia e il benes­sere delle per­sone e di una società. Non si tratta di lotta alla povertà, ma di pro­mo­zione della libertà indi­vi­duale e di migliori con­di­zioni di vita per tutti. È un inve­sti­mento che le isti­tu­zioni pub­bli­che fanno sulle per­sone e sulla col­let­ti­vità. Per evi­tare i ricatti della mise­ria e della povertà, che gene­rano pater­na­li­smi, dipen­denza, clien­te­li­smi, cor­ru­zione, sfrut­ta­mento, mala­vita. Così potremmo anche sco­prire che dinanzi alla ven­ti­lata riforma restrit­tiva dello stato sociale pro­po­sta da Tony Blair sul finire degli anni Novanta, l’intero movi­mento musi­cale anglo­sas­sone si oppose, segna­lando che la riforma avrebbe «pri­vato i nuovi, gio­vani musi­ci­sti rock del tempo suf­fi­ciente per pro­vare». E vent’anni prima The Clash pote­rono com­prare i primi ampli­fi­ca­tori con­tando sul Dole di Joe Strum­mer, come rac­con­ta­rono gli stessi pro­ta­go­ni­sti. E allora, potremmo ribal­tare un cele­bre titolo di The Clash:Know your rights! Per il diritto al red­dito garan­tito, anche in Italia.

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