martedì 12 marzo 2024

POLITICA E VIOLENZA. IL CASO DI CESARE-BALZERANI. PELLEGRINO G., La polemica su Donatella Di Cesare: meglio essere cattivi maestri all’università che su Twitter, DOMANI, 11.03.2024


L'AUTORE DELL'ARTICOLO. Professore associato di filosofia politica alla LUISS Guido Carli. Si occupa di storia dell’etica e filosofia politica contemporanea

ulla vicenda di Donatella Di Cesare, che ha scritto un tweet di cordoglio solidale per la morte di Barbara Balzerani (coinvolta nel sequestro di Aldo Moro e in altre azioni terroristiche), le reazioni sono state sideralmente opposte. Per alcuni censurare questi pronunciamenti è nostalgia di uno Stato etico. Per altri, gli educatori non possono dare voce a qualsiasi opinione senza pensare al loro ruolo.

Il problema è che i ruoli di persone come Di Cesare sono molteplici. Sono docenti e pubblici funzionari, cioè professionisti dell’educazione che lo Stato ha assunto per garantire la trasmissione del sapere, che ovviamente non è separata dalla trasmissione di valori. In quanto pubblici funzionari, sarebbero tenuti al rispetto della Costituzione e a svolgere le loro funzioni con dignità e onore.

Avrebbero un obbligo di coerenza: non andare contro i valori che la Costituzione tutela o dimettersi se intendono farlo. La Repubblica italiana ha basi etiche, che piaccia o meno. La differenza con gli Stati totalitari sta nel fatto che queste basi riconoscono spazi, pur non infiniti, per la libertà di pensiero.


FUNZIONARI E INTELLETTUALI

Ma Di Cesare è anche un’intellettuale e gli intellettuali non possono limitarsi a ripetere dottrine di Stato, senza articolare divergenze di idee e opinioni discordanti. E anche questa, in fondo, è la funzione per cui lo Stato paga persone come Di Cesare.

Le aule universitarie dovrebbero essere i luoghi dove tutti gli esperimenti di pensiero si possono fare, dove una comunità riflette sui valori in cui crede, sulla loro evoluzione e su come tramandarli ai futuri cittadini. Da persone come Di Cesare, e da tutti gli altri che fanno lo stesso mestiere, ci si aspetta coraggio intellettuale ed esercizio di audacia di pensiero.

Questa è la contraddizione registrata dalle opposte reazioni. I pubblici funzionari debbono esercitare la loro funzione secondo le regole della Costituzione e in conformità con i suoi valori. Ma ci sono dei pubblici funzionari il cui compito è manutenere questi valori, il che significa anche metterli alla prova, considerare le sfide che provengono da valori opposti e anche da posizioni abiette.

Ma questi pubblici funzionari e intellettuali ora si atteggiano a influencer e sui social mantengono in vita il loro personal branding, e così fanno anche nelle loro apparizioni pubbliche in TV o nei vari festival.

SAPERNE DI PIÙ

Si può pensare che, fuori dall’aula e dai contesti della ricerca scientifica, i docenti ridiventino persone private, come se smettessero la divisa o il camice. Ma i social e la TV sono contesti iper-pubblici e il branding si basa sul ruolo. Chi ascolterebbe Di Cesare se non fosse professoressa e non avesse scritto molti libri importanti? E se i pronunciamenti di Di Cesare fossero del tutto privati, detti al bar fra amici, perché la rettrice della Sapienza  dovrebbe prendere le distanze, come ha fatto?

IL MEZZO È IL MESSAGGIO

Si può pensare, allora, che i docenti siano tali ovunque e sempre debbano avere le cautele e i limiti che hanno in classe. Ma anche questo è impossibile, data la velocità e i limiti del mezzo.

Rimane solo una strada. Il problema principale non riguarda la funzione di educatrice e intellettuale di Di Cesare. Nello spazio di una classe, con studenti pronti a contraddirla, ben vengano le solidarietà ambigue e i distinguo. E se gli studenti non sono pronti a contraddire, faremmo bene a spronarli e sicuramente non favoriamo lo spirito di contraddizione con la censura.

Ma sui social questi pronunciamenti non sono un esercizio della libertà di pensiero. Il mezzo è il messaggio. Sono un offesa per le vittime del terrorismo e un punticino in più per la visibilità personale di Di Cesare. È questo lo scandalo: non quello di esprimere posizioni controverse in cattedra, ma quello di usare il prestigio della cattedra, meritato o meno, per acquisire visibilità personale, senza curarsi delle conseguenze pragmatiche.

La reazione appropriata non è la presa di distanza delle istituzioni o la sospensione dall’insegnamento. Anzi, sarebbe meglio chiedere un sovrappiù di insegnamento, cioè di vita interna ai contesti meditati della ricerca scientifica e della didattica, e un’astensione dalla corsa senza fine al clickbait e all’invito in trasmissione.

Pensare che tweet ambigui e post sarcastici siano esercizio di libertà di pensiero significa prestarsi al gioco di simonia intellettuale e inflazione dell’expertise che proprio per tutelare la vera libertà di pensiero dovremmo impedire. Dovremmo prendere le distanze dal personaggio Di Cesare e criticarlo, tenendoci la docente e richiamandola alla sua onestà intellettuale.

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