In questi giorni, tra i nessi e connessi delle dichiarazioni del ministro della Difesa Guido Crosetto, abbiamo avuto modo di capire che il vero leader dell’opposizione è il pubblico ministero romano, corrente AreaDg, Eugenio Albamonte, con fluviali interviste a giornali e telegiornali, senza un contraddittorio reale.
Albamonte spiega che in realtà si vuole “una magistratura silente che non partecipi al dibattito pubblico che non eserciti i propri diritti costituzionali a meno che non sia plaudente rispetto alla linea del governo erano in carica”. E giusto per non essere silente il dottor Albamonte il dibattito politico lo monopolizza, dando le pagelle ai partiti.
Ovviamente, all’oratore fluviale nessuno fa domande sulle sue inchieste, sull’attività che svolge o che dovrebbe svolgere tra una esternazione e l’altra. Eugenio Albamonte è titolare di una inchiesta di cui in pratica nessun giornale ha mai parlato tranne qualche quotidiano di nicchia. L’8 giugno del 2021 sequestrò il computer, i cellulari e persino i certificati medici di un figlio diversamente abile, mettendo nel mirino Paolo Persichetti ricercatore indipendente sulla storia degli anni ‘70 e del caso Moro.
L’accusa da allora è stata cambiata 11 volte. L’imputazione principale, associazione e sovversiva finalizzata al terrorismo, cadde quasi immediatamente. Il gip scrisse che non c’era un reato e non si sa se mai ci sarà. Il magistrato asseriva la violazione del segreto in relazione ad atti della commissione parlamentare sul caso Moro che segreti non erano perché pubblicati nel giro di sole 48 ore.
Con la divulgazione Persichetti avrebbe favoreggiato tra gli altri Alessio Casimirri, condannato all’ergastolo per via Fani e scappato in Nicaragua nel 1981 quando il ricercatore aveva 19 anni e stava al liceo.
I termini dell’inchiesta sono scaduti da tempo, non si possono fare ulteriori accertamenti, ma il fascicolo resta in mezzo al guado, senza decidere se archiviare o meno. In realtà è già tutto prescritto. Ma il blocco non finisce. È sempre la caccia ai misteri inesistenti del caso Moro.
Albamonte è lo stesso pm che a 40 anni e più dai fatti ottenne un esperimento col laser in via Fani da cui risultò che a sparare erano state solo le Brigate Rosse. Non c’erano servizi segreti e killer stranieri o la ‘Ndrangheta. Ma si continua a favoleggiare di complici e mandanti occulti.
Bloccando il lavoro di un ricercatore e l’uscita del secondo volume sulla storia del Br Dalle fabbriche alla campagna di primavera. Insomma una storia operaia. Chiedere al pm Eugenio Albamonte aspettando finalmente una risposta. Perché sia chiaro che le toghe rosse esistono per davvero, ma non sono quelle evocate da Berlusconi al fine di farsi capire dagli elettori.
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