martedì 19 marzo 2024

POLITICA E VIOLENZA. ANNIVERSARI. IL CASO MORO. VITTORIA F., Aldo Moro non era un uomo di potere, era il potere: lo statista, l’uomo, l’intellettuale, il credente, L'UNITA', 17.03.2024

 Raccontare di Aldo Moro è, senza dubbio, da un lato fonte di forte emozione e commozione essendo, pur a distanza di tanti anni, non ancora spento l’impatto emotivo della sua tragica uccisione, dall’altro necessario, per far riemergere e conoscere, specie alle nuove generazioni, non solo e non tanto la sua fine quanto il suo lungo e caparbio impegno a favore del nostro Paese, delle sue istituzioni e della sua crescita politica e sociale.


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Risulta quindi fondamentale tornare a riflettere sugli anni della sua molteplice azione di professore e di statista, senza trascurare l’uomo Moro che ha saputo rappresentare negli anni della storia repubblicana un riferimento per il suo partito e per le nuove generazioni.

Dopo le macerie della Seconda Guerra mondiale, assieme a De Gasperi, la Pira, Dossetti e Fanfani, Moro ha saputo raccogliere l’eredità di Luigi Sturzo per traghettare l’Italia verso un modello di democrazia più partecipata e più equa. Si doveva realizzare la partecipazione dei cattolici alla vita pubblica.

È stato, come lo ricorda Antonetti, un uomo delle possibilità in campo politico che, nella sua esperienza si è trovato a gestire e, talora, a promuovere, svolte politiche cruciali nella storia del dopoguerra italiano, senza mai trascurare quelle correnti profonde, sia culturali che sociali ed economiche, che sostenevano o, al contrario, destabilizzavano il sistema costituzionale italiano, che egli stesso aveva contribuito a creare.

Spesso si sono avallate immagini di Moro semplificatrici e fuorvianti, quali quelle che lo dipingevano come una personalità dal pensiero e dal parlare oscuri, come un leader distaccato, calcolatore e guidato nelle sue azioni dalla sola logica del potere, o come un uomo insensibile e incapace di parlare al cuore della gente.

Sicuramente può essere considerato attendibile il giudizio che di lui ha dato Corrado Guerzoni, portavoce di Moro: ho qualche riserva su quell’eccesso di un Moro sempre sull’orlo della tristezza mortale, sempre esausto.

Non era un tipo allegro, di certo, almeno nella sfera pubblica, era molto concentrato su di sé, ma «ci faceva», nel senso che aveva assunto un atteggiamento di persona restia, sempre pronta a ritirarsi: ma era una tattica che produceva effetto su Mariano Rumor e dintorni.

Moro non era attaccato al potere: era il potere fatto persona, nella sua sacralità e indivisibilità e irrinunciabilità. (M. Franzinelli). Mite e duttile nelle modalità d’incontro, ma altresì coerente nei ragionamenti e tenace nelle convinzioni, Moro fu anche altro: un intellettuale, un giurista, un credente, un fine interprete delle tensioni e delle passioni del suo tempo, un uomo del dialogo e della ragione.

Luciano Lama, all’epoca segretario della CGIL, nel 1975 incontrò Moro per la prima volta, in occasione delle consultazioni tra governo e sindacati sulla riforma delle pensioni

Egli ricorda che, prima di incontrarlo, fu piuttosto influenzato dai giudizi che circolavano sulla persona di Moro, giudizi non del tutto positivi, dato che lo statista pugliese «era ritenuto un uomo che si perdeva troppo spesso nell’astrattezza, nella concettuosità, una sorta di intellettuale complicato e sognatore».

Il segretario della CGIL invece, affermò di essersi trovato dinanzi ad un uomo che sapeva ascoltare e che aveva la virtù e il gusto della ricerca, un uomo carismatico che spesso indagava realtà complesse e, quindi, nonostante il suo pensiero complesso, non era certamente contorto od oscuro.

Moro non fu mai astratto e, nelle molte responsabilità politiche che assunse, egli «esplorò la direzione delle correnti profonde della società, non solo italiana, e, per quanto possibile, cercò di canalizzarle all’interno dell’evoluzione democratica del paese». (N. Antonetti).



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