mercoledì 26 febbraio 2014

NUOVO GOVERNO RENZI E SCUOLA. CANCELLARE LA FILOSOFIA. R. ESPOSITO, Chi vuole abolire la filosofia da scuola e università, LA REPUBBLICA, 15 febbraio 2014

Il piccolo, ma agguerrito, mondo della filosofia italiana  -  quella che con qualche ridondanza si denomina "teoretica"  -  è in comprensibile fermento. In base ad una recente normativa tale materia è stata eliminata dalle tabelle disciplinari di vari corsi di laurea, come quelli di Pedagogia e di Scienze dell'Educazione, con la singolare motivazione che si tratta di una disciplina troppo specialistica. E che dunque dove si educano gli educatori non c'è alcun bisogno di essa. Ma c'è di peggio. 



Sta prendendo corpo il progetto, già sperimentato in alcuni licei, di abbreviare il ciclo delle scuole secondarie a quattro anni, con la conseguente riduzione dell'insegnamento della filosofia a due. L'idea, del resto, non è nuova. Già alla fine degli anni Settanta si pensò di cancellare lo studio della filosofia dalle scuole, sostituendola con le scienze umane. Ci volle la ribellione dei professori di filosofia dei licei  -  molti dei quali preparati e motivati  -  per scongiurare simile, sconcertante, trovata.
Che tali progetti siano solo disegni degli staff di funzionari del Ministero dell'Istruzione può essere. Sta di fatto che segnalano, ancora una volta, la spaventosa carenza culturale di coloro che sono preposti all'organizzazione della cultura in Italia. L'intenzione di ridurre il rilievo della filosofia, schiacciandola ai margini dei programmi scolastici e universitari, è la punta di un attacco generalizzato al sapere umanistico in Italia. Ma in essa c'è qualcosa di ancora più grave. Si vuole così occludere lo spazio dove si forma lo spirito critico. Indebolire ogni resistenza a un diffuso realismo in base a cui, qui o altrove, non c'è da prefigurare nulla di diverso da quello che abbiamo sotto gli occhi.

Tale progetto è sbagliato per più di un motivo. Intanto perché la filosofia, oltre che indispensabile di per sé, lo è nei confronti degli altri saperi. Non perché, come a volte si dice, li collega in un unico orizzonte, ma, al contrario, perché definisce le loro differenze, misura la tensione che passa tra i vari linguaggi. In quanto sapere critico, la filosofia impedisce la sovrapposizione di questioni eterogenee, delinea i confini dentro i quali esse assumono significato. Ma il suo ruolo non si esaurisce in una procedura metodologica. Tutt'altro che chiusa su di sé, essa è sempre aperta al mondo  -  alle sue potenzialità e ai suoi conflitti. Tale è la sua funzione. La capacità, e anche il desiderio, di aprire un confronto, in qualche caso uno scontro, rispetto a ciò che esiste a favore di una diversa disposizione delle cose.
In questo senso la filosofia  -  anche e forse soprattutto quella che si definisce "teoretica"  -  ha sempre un'anima politica. Non, certo, nel senso di fornire prescrizioni o indicazioni su cosa fare o come agire. Ma perché è situata lungo il confine tra il reale e l'immaginario, il necessario e il possibile, il presente e il futuro. Perciò essa è sempre in rapporto con la storia. Non parlo solo della storia della filosofia  -  pure indispensabile. Ma della storia nella filosofia. Il pensiero non solo ha, ma è storia, perché consapevole del nostro limite. Di quanto abbiamo, ma anche di quanto ci manca, dell'assenza che taglia ogni presenza, della scissione che attraverso ogni unità.

È un'idea, questa, che congiunge tutti i grandi pensatori, da Platone a Hegel e oltre. Il motivo per il quale, nonostante l'apparente inutilità che spesso le viene rinfacciata, si continua a praticare filosofia sta proprio nella coscienza che il suo compito è inesauribile. Che restano sempre spazi inediti da aprire, vie nuove da imboccare, opzioni diverse da sondare. Quando si è supposto che così non fosse, che la verità era stata raggiunta e il percorso compiuto, allora la filosofia è stata messa a tacere e i filosofi sono stati banditi dalla città. Con i risultati che sappiamo.

Nessun commento:

Posta un commento