Roberto Esposito, Adriano Fabris, Giovanni Reale
Questo, per la filosofia e per la cultura umanistica in generale, è un momento non facile. Prevale un’ideologia tecnocratica, per la quale ogni conoscenza dev’essere finalizzata a una prestazione, le scienze di base sono subordinate alle discipline applicative e tutto, alla fine, dev’essere orientato all’utile. Lo stesso sapere si riduce a una procedura, e procedurali ed organizzative rischiano di essere anche le modalità della sua costruzione e valutazione. Un conoscere è valido solo se raggiunge specifici risultati. Efficacia ed efficienza sono ciò che viene chiesto agli studiosi: anche nell’ambito delle discipline umanistiche.
In questo quadro non stupiscono, per restare nell’ambito filosofico, l’eliminazione della Filosofia teoretica da molti corsi universitari di Scienze dell’educazione, nonché, per quanto riguarda le scuole secondarie, l’idea di ridurre a due anni la formazione filosofica, a seguito del progetto per ora sperimentale di abbreviare il ciclo a quattro anni. Allo stesso modo non sorprende il fatto che, nonostante il diffondersi negli ultimi decenni delle etiche applicate (come la bioetica, l’etica ambientale, l’etica economica, l’etica della comunicazione) a tutt’oggi la bioetica è considerata nelle declaratorie una disciplina che rientra ufficialmente nei settori disciplinari della medicina e del diritto piuttosto che della filosofia. Con la conseguenza che viene privilegiato per questa materia un insegnamento di carattere procedurale, piuttosto che una formazione volta a fare chiarezza sui motivi di certe scelte per aiutare a prendere decisioni responsabili.
Ma tutto questo è la punta di un iceberg. È il segno che, privilegiando un pensiero unico modellato sulle procedure tecnologiche, abbiamo rinunciato alla nostra tradizione, alle molteplici espressioni della nostra umanità, e siamo diventati tutti più poveri nella riflessione e nella capacità critica. Si tratta di un problema che interessa anzitutto la dimensione educativa. Ma più in generale ne va del ruolo che, nel nostro paese, può giocare la dimensione della cultura.
È necessario cambiare rotta. È necessario contrastare questa deriva. Lo si può fare anzitutto bloccando i progetti che riducono o addirittura eliminano lo spazio della filosofia nell’istruzione secondaria e nell’insegnamento universitario. Lo si può fare chiedendo al nuovo governo impegni precisi: non solo per l’ammodernamento delle strutture scolastiche e universitarie, ma anzitutto per il sostegno e il rilancio di una cultura autenticamente umanistica, come sfondo all’interno del quale anche la ricerca scientifica e tecnologica acquista significato.
È questo il modo in cui può trovare rilancio anche un’azione politica intesa come responsabilità del pensiero nei confronti della dimensione pubblica e del mondo. È questo il modo in cui il nostro paese può essere fedele al suo passato. È questo il modo in cui esso può trovare una vera collocazione nel presente e nel futuro dell’Europa.
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Primi firmatari:
Massimo Adinolfi, Luigi Alici, Dario Antiseri, Luisella Battaglia, Franco Biasutti, Remo Bodei, Laura Boella, Francesco Botturi, Giuseppe Cantillo, Dino Cofrancesco, Raimondo Cubeddu, Fulvio De Giorgi, Maurizio Ferraris, Mariapaola Fimiani, Piergiorgio Grassi, Enrica Lisciani Petrini, Eugenio Mazzarella, Salvatore Natoli, Giuseppe Nicolaci, Luigi Pati, Luciano Pazzaglia, Paola Ricci Sindoni, Giuseppe Riconda, Leonardo Samonà, Emanuele Severino, Giusi Strummiello, Gianni Vattimo, Carmelo Vigna, Claudio Ciancio, Pier Aldo Rovatti, Franco Miano, Michelina Borsari, Gianfranco Dalmasso, Antonio Bellingreri, Enrico Berti, Armando Massarenti, Giacomo Marramao
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