domenica 13 luglio 2014

GOVERNO RENZI E NON SOLO. A. BURGIO, La sfera opaca e separata dal Paese, IL MANIFESTO, 11 luglio 2014

Sem­pre più spesso capita di doman­darsi, e anche di sen­tirsi chie­dere, che sta suc­ce­dendo. Forse sten­tiamo a capire per­ché abbiamo a che fare con il nuovo, tanto spesso invo­cato. 


Ma potrebbe anche darsi che di nuovo non ci sia gran­ché, e che l’incomprensibile discenda pro­prio dal ripre­sen­tarsi di una con­giun­tura niente affatto ine­dita. Siamo a una notte della poli­tica, ma non la prima che l’Italia viva. Una notte della poli­tica, come della ragione e del decoro, è stato già il ven­ten­nio berlusconiano.
n ven­ten­nio durante il quale abbiamo visto ogni sacra­lità pro­fa­nata, lor­data dall’interesse, dalla vol­ga­rità e dalla cor­ru­zione esi­bita. Una lunga notte la Repub­blica conobbe anche negli anni delle trame nere, dei segreti pro­tetti dalle isti­tu­zioni deviate, delle affi­lia­zioni tra­sver­sali alle logge massonico-fasciste: gli anni del «dop­pio Stato» e del con­nu­bio osceno tra il Palazzo e le camorre che tut­tora infe­stano il paese.
Una cupa inter­mi­na­bile notte era natu­ral­mente stato il ven­ten­nio fasci­sta. Notte per­ché trionfo della vio­lenza, della bru­ta­lità, della sopraf­fa­zione, per cui la guerra e la cata­strofe che que­sta generò non pos­sono essere con­si­de­rate un acci­dente né un sem­plice corol­la­rio della dit­ta­tura. Notte, per­ché ogni potere fu allora con­cen­trato nelle mani di una cricca di famuli stretta intorno al Capo, in modo da fare della quasi tota­lità della cit­ta­di­nanza una massa di mano­vra ignara e beota. E oggi? Oggi il buio non è meno fitto, è sol­tanto, in parte, diverso. Di qui, forse, lo scon­certo, lo smar­ri­mento, la dif­fi­coltà a comprendere.
La notte ber­lu­sco­nica per un verso per­dura. Da quel disdoro non ci siamo più risol­le­vati, aven­done la con­tro­parte di un tempo, oggi alleata, assunto la feconda ere­dità. Ne è testi­mo­nianza un per­so­nale poli­tico ormai oltre i limiti del grot­te­sco – mini­stri e vice ignari e senza sto­ria; par­la­men­tari semia­nal­fa­beti – per il quale la zelante eufo­rica obbe­dienza è l’esercizio più grato. A guar­dar bene, prima ancora di scri­verla in Costi­tu­zione la «riforma» del par­la­mento si è già fatta in cor­pore vili, con l’infarcire le Camere di «nani e bal­le­rine», come ebbe a dire un padre della patria. Ma que­sta nuova notte sem­bra ancor più tene­brosa, poi­ché a gene­rarla è l’intreccio di tre fat­tori distrut­tivi: la vio­lenza, il segreto, la mistificazione.
La vio­lenza. Due uomini simili tra loro come padre e figlio si accor­dano in pri­vato con l’avallo e forse la super­vi­sione del capo dello Stato, e deci­dono, con piglio padro­nale, quanto l’intendenza appli­cherà. Chi si mette per tra­verso è ridi­co­liz­zato, infa­mato, addi­tato al ludi­brio quale disfat­ti­sta fre­na­tore, nemico della patria. Come fu squa­dri­sti­ca­mente liqui­dato il pre­ce­dente inqui­lino di palazzo Chigi, prima ancora di esserne sfrattato.
Il segreto. Chi sa se gli acco­sta­menti alla P2 abbiano fon­da­mento, se il fee­lingcon Ver­dini parli di con­sue­tu­dini arcane, se le frut­tuose fre­quen­ta­zioni coi vari Car­rai e Serra celino rela­zioni incon­fes­sa­bili, se l’irresistibile ascesa sia debi­trice al soste­gno di «potenze occulte». Di certo nulla sap­piamo del «patto del Naza­reno», dal quale pur dipende il destino della legi­sla­tura. E dell’intrico di inte­ressi e voleri che sor­regge il capo del governo per­met­ten­do­gli di gio­care con ine­dita iattanza.
Sopra tutto, la misti­fi­ca­zione. E l’opacità che la motiva. Ancora sino a pochi anni fa la dia­let­tica poli­tica era in qual­che modo ricon­du­ci­bile a ragione. Oggi non più, ammesso e non dato che una dia­let­tica per­si­sta. Il governo prende deci­sioni, rile­vanti e rovi­nose. A mezzo di un par­la­mento dele­git­ti­mato tra­volge in alle­gria una Costi­tu­zione costata lacrime a san­gue a chi com­batté il fasci­smo. Distrugge quel che resta dell’industria pub­blica e delle tutele del lavoro dipen­dente. Pri­va­tizza il bene comune e rin­nova i fasti delle rega­lie alla Chiesa. Cir­cui­sce i lavo­ra­tori con la truffa popu­li­sta degli 80 euro men­tre affama il wel­fare. Per­se­vera, deter­mi­nato, nella siste­ma­tica distru­zione delle con­di­zioni di vita di per­sone sem­pre più povere, sem­pre più minacciate.
Ma la poli­tica si muove ormai den­tro una bolla sepa­rata dal paese reale, imper­mea­bile alle sue cure, ai suoi affanni, al suo tra­va­glio. Den­tro una sfera opaca, impe­ne­tra­bile, che lascia intra­ve­dere solo una ratio oli­gar­chica (in quanti deci­dono ciò che quasi tutti poi ese­guono?). E sotto la scher­ma­tura – una falsa tra­spa­renza – di una rap­pre­sen­ta­zione edul­co­rata, che impe­di­sce di cogliere il senso degli acca­di­menti. Certo, non è dif­fi­cile indi­vi­duare nella sovra­nità del pri­vato, chiave di volta del neo­li­be­ra­li­smo, il ful­cro delle scelte del governo, e la base aurea del con­nu­bio tra i due padroni della poli­tica ita­liana. Ma que­sta con­nes­sione si desume da uno sguardo d’insieme, non da un’analisi pun­tuale dei pro­cessi. E a rigore pre­scinde dalla ragione sociale – in teo­ria diversa – delle parti in gioco, anzi con­fligge con essa.
Se è così, di chi è la respon­sa­bi­lità? Non certo del solo Renzi, il quale, deus ex machina, è l’uomo giu­sto al posto e al momento giu­sto, come ha pun­tual­mente rile­vato l’on. Orfini, pro­to­tipo di coe­renza, linea­rità e lun­gi­mi­ranza. Il cuore del pro­blema è piut­to­sto il bipo­la­ri­smo all’italiana, entrato nella sua matu­rità gra­zie alla seco­la­riz­za­zione e patri­mo­nia­liz­za­zione dei par­titi mag­giori (que­sta la lezione cru­ciale che Renzi ha tratto dal suo padre poli­tico) e all’indefessa opera del pre­si­dente della Repub­blica, grande sacer­dote in que­sta notte buia. La verità del bipo­la­ri­smo ita­liano, tena­ce­mente inse­guita dagli anni Novanta (si pensi all’inciucio con Ber­lu­sconi riven­di­cato da Luciano Vio­lante), è pre­ci­sa­mente que­sto regime delle «lar­ghe intese», que­sta vene­fica palude cen­tri­sta che tutto som­merge aggrup­pando incon­di­zio­na­mente quanti hanno van­taggi da trarre dalla pro­pria accorta con­ni­venza. Gra­zie a que­sto regime si è per­fe­zio­nato il mec­ca­ni­smo. E si può ormai viag­giare spe­diti, con­sci dell’urgenza delle «riforme», della supe­riore neces­sità di far pre­sto senza attar­darsi in discus­sioni futili, la rifles­sione essendo ormai un lusso fuori moda.
Inu­tile dire che que­sta situa­zione dovrebbe par­lare alla sini­stra poli­tica ita­liana, se solo que­sta esi­stesse. Siamo così all’ultimo tas­sello di un mosaico deso­lante. Men­tre dall’alto si infligge ogni sorta di ingiu­rie al paese più ingiu­sto della vec­chia Europa, dal basso nes­suno sem­bra in grado di susci­tare un’opposizione, di orga­niz­zare una resi­stenza. Anzi, il più delle volte pare si lavori a distrug­gere quanto si è fati­co­sa­mente costruito. Le lace­ra­zioni in Sel, attra­ver­sata da potenti spinte cen­tri­pete; l’isolamento di Rifon­da­zione, ridotta a pochis­sima cosa e sem­pre più chiusa in se stessa; i dis­sidi nella Lista Tspi­ras, incom­pren­si­bili se non come espres­sioni di par­ti­co­la­ri­smi. Non inte­res­sano qui le even­tuali ragioni, che ces­sano di essere tali per il sem­plice fatto che l’esito è que­sto: divisa e fram­men­tata, da un decen­nio o giù di lì in Ita­lia la sini­stra poli­tica non figura nel gioco poli­tico, di fatto non esi­ste più . Il che la rende cor­re­spon­sa­bile di que­sta cupa notte. Ed è una respon­sa­bi­lità che si fa ogni giorno più pesante.

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