Sabato 19 luglio, alle 18.30 presenterò il mio libroLa grande illusione – Matteo Renzi 2004-2014(nella foto la copertina) al Bagno Balena Duemila di Viareggio. Interverranno il direttore delGiornale, Alessandro Sallusti, la portavoce nazionale di Forza Italia, Deborah Bergamini e il giornalista e scrittore, Marco Ferri. Modererà l’incontro il caposervizio de La Nazione di Viareggio, Enrico Salvadori.
Quando ho iniziato a scrivere questo libro, avevo il timore che si sarebbe esaurito in pochi mesi. Che mi sarebbe invecchiato tra le mani e che sarebbe morto giovane. E, invece, a due mesi dalla sua uscita mi accorgo con soddisfazione che queste pagine sono più vive che mai, e che continuano a reggere l’impatto con il passare del tempo restando attualissime man mano che trascorrono i giorni.
Un motivo c’è. Finché il presidente del Consiglio, Matteo Renzi (nella foto), continuerà a fare promesse (non mantenendole) così come ha sempre fatto a Firenze, La grande illusione resterà in bella mostra negli scaffali delle librerie. E’ lui stesso, con le sue parole, con le sue gaffe, con i suoiselfie, che permette a un instant book, che per sua natura sarebbe destinato a campare per poco, di mantenersi giovane e fresco, senza lifting, per giunta.
Anche perché, mentre lui si è preso mille giorni in più per fare “un grande restyling dell’Italia”, nel mio libro ricordo che dopo 1.703 giorni da sindaco aveva realizzato appena un quarto delle “cento cose concrete” promesse in campagna elettorale, cinque anni prima. Il restante 75% è rimasto sulla carta. La “trasparenza” sulle multe, il report sull’avanzamento dei cantieri, la diminuzione dei verbali contro chi sporca, i parcheggi gratuiti negli ospedali, i parcheggi interrati per sgomberare le piazze storiche dalle auto, l’azzeramento delle liste d’attesa negli asili nido, gli stanziamenti del fondo per le giovani coppie. Queste sono solo alcune delle promesse non mantenute quando era sindaco.
Se nel 2009 il suo slogan era “Prima Firenze” dopo si è trasformato in “Prima Renzi, poi Firenze”. Prima di tutto l’impatto mediatico per se stesso, poi tutto il resto. Il trapezista Renzi è un esperto in voli acrobatici. Annuncia che i “teorici dell’inciucio non possono brindare” e poi propone a Letta “lascia, entrerai nel mio governo”. Definisce “i dipendenti comunali peggio di Fantozzi” e poi assume cento collaboratori a chiamata. Dice che “il consiglio comunale è inutile” e, infatti, non ci è andato mai. Fa sloggiare gli ambulanti regolari dello storico mercatino di San Lorenzo (che ha definito “tutti evasori”), senza risolvere il problema dei venditori abusivi.
Renzi si è limitato a transennare la piazza intorno al Duomo, senza intervenire sulla reale riduzione del traffico cittadino (Firenze è fra le città più inquinate d’Italia), rimandando uno dei punti chiave della sua campagna elettorale: la costruzione in tempi brevi della seconda e terza linea della tramvia. Tutte le importanti opere infrastrutturali annunciate sono rimaste ferme al palo (complice anche la Regione).
Cantieri bloccati, lievitazione dei costi, perdita dei finanziamenti europei, fuga degli investitori, ossia ulteriori costi scaricati sulla collettività. Nikita Chrušcëv, leader comunista sovietico, diceva sempre: “Gli uomini politici sono uguali dappertutto. Promettono di costruire ponti, anche dove non ci sono fiumi”.
La parlantina del premier rende ancora valida la tesi espressa sulla copertina. Un’illusione che va avanti, che non si ferma, che non rallenta nemmeno, dato che, dopo 137 giorni dal suo insediamento, di quel pistolozzo in versione slide dei primi giorni non resta niente.
Anzi, si è dato altri mille giorni di tempo e mille altri se ne darà allo scadere di questi. Lui si è messo in tesa di cambiare l’Italia, come ripete come un disco rotto, l’Europa, il mondo, l’universo forse, e non è certo cosa facile, tutti lo comprendono. Ci vuole il suo tempo. Specialmente nel nostro Paese, tanto bello quanto lento e corrotto. Quello che gli italiani vorrebbero però sarebbe, almeno, di non essere presi in giro per l’ennesima volta, di non essere illusi ancora, non se lo meritano.
I bei discorsini non servono più. Le lezioncine sull’etica e sulla moralità non aiutano. Ci siamo rotti delle lezioncine e ci siamo rotti di chi le impartisce senza poi trovare soluzioni. Lui ci sta provando, gliene diamo merito, ma basta lezioncine, basta toni da maestrino, basta soprattutto scadenze che non può rispettare. Eviti di darsi delle date, tanto le bucherà tutte, come ha fatto fino ad oggi. Illusi sì, scemi no. Per favore. “Le promesse, in politica, si possono anche non mantenere, quello che conta è saperle fare”, dice Roberto Gervaso.
Ormai l’abbiamo capito. Matteo Renzi balla da solo. Gli unici a cui delega sono quelli del suo giglio fiorentino: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti che gestisce le trattative al posto suo, il ministro Maria Elena Boschi, la sua prediletta per le riforme che ha il suo mandato per tutto, Antonella Manzione, ex comandante dei vigili urbani di Firenze, oggi capo dipartimento affari giuridici legislativi della presidenza del Consiglio, è quella che traduce in legge le volontà del premier. Poi ci sono i non toscani il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, o anche solo “Graziano”, e Lorenzo Guerini, il suo “gianniletta”.
Per tutto il resto Matteo fa da solo. Non propone, ma dispone. Sono i finiti i tempi delle riunioni del Pd all’alba (altro spot renziano del “facciamo presto”), ora le convocazioni avvengono solo su Whatsapp. E se qualcuno prova a contrastarlo, lui tira fuori la parabola del 40,8% di voti alle Europee e tutti si zittiscono. Accentrava quando era presidente della Provincia di Firenze, lo faceva da sindaco, lo fa ancor di più da premier.
“Con la riforma costituzionale che vuole, il segretario del partito di maggioranza esprimerebbe il premier e il presidente della Repubblica: altro che Putin, con Renzi siamo tornati a Breznev”, ha detto il senatore di Forza Italia, Augusto Minzolini. Chi non la pensa come lui? Viene allontanato. Semplice.
Al discorso a Strasburgo per l’inizio del semestre italiano alla presidenza Ue, non ha fatto neanche ridere. Di solito è simpatico nelle sue sparate pubbliche: in quel caso non lo è stato neppure. Non ha nominato il problema lavoro, nessun accenno all’agricoltura, all’euro, agli immigrati, alla liberazione dei due marò. “Se oggi l’Europa si facesse unselfie”, come ha detto lui, vedrebbe uno di Rignano sull’Arno che governa un Paese che fa parte dell’Europa, senza essere stato eletto dal popolo e che ha così tanta fretta da non riuscire a compicciare niente.
Il problema che molti cominciano a notare parlando di Renzi, infatti, è che più il suo raggio d’azione si allarga, più l’imbuto si fa stretto e lui rischia di strozzarsi. Paragona il Vecchio Continente allo stanco Anchise, accosta i giovani a dei Telemaco, figlio di Ulisse, (nella foto la vignetta di Natangelo) perché “c’è una generazione nuova che ha il dovere di riscoprirsi Telemaco, di meritare l’eredità” dei padri fondatori della Ue. A Itaca non esistevano regole dinastiche. Il potere regale passava ai figli solo se questi lo avevano meritato. Telemaco lo meritò? Nessuno lo sa. Ma, soprattutto, Renzi lo merita?
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