Ha 45 anni, un grande passato e uno splendido potenziale futuro. Il 20 maggio 1970 con la legge n. 300 nasceva lo Statuto dei lavoratori, di cui oggi ricorre il quarantacinquesimo compleanno. Il dibattito degli ultimi anni ne ha oscurato le radici, la funzione e l’importanza, assoggettandolo a una sorta di derby sull’articolo 18 tra fautori e detrattoti, tra favorevoli e contrari. E’ ancora utile oggi lo Statuto dei lavoratori? Hanno ragione coloro che gli imputano, forse con eccessiva enfasi, la colpa di tutti i mali delle imprese, a cominciare dal nanismo delle dimensioni d’azienda costrette a stare sotto i 15 dipendenti, oppure hanno ragione coloro che ne auspicano l’estensione?
L’approvazione dello Statuto nel maggio 1970 arriva dopo forti conflitti sindacali. Con il suo avvento la Costituzione entrava nelle aziende, con i diritti individuali di un lavoro dignitoso per i lavoratori, con l’agibilità sindacale attraverso l’associazionismo e le assemblee retribuite, con il reintegro per i licenziamenti illegittimi (art. 18), con la tutele dell’azione sindacale e la repressione dell’attività anti-sindacale (art. 28). Sono 41 gli articoli dello Statuto. I costi prima della sua approvazione, che avvenne tra l’altro con il consenso della Democrazia cristiana e del Partito socialista e l’astensione critica del Partito comunista, furono ingenti e frutto di conflitti e di fratture sociali (vi furono 14mila denunce penali di lavoratori), ma il Paese allora viaggiava verso la ripresa e uno sviluppo economico con il vento in poppa.
Le critiche degli ultimi anni, purtroppo concentrate quasi esclusivamente su un articolo solo, il 18, hanno portato al suo primo disinnesco nel 2012 (legge Fornero) e al suo radicale depotenziamento con il Jobs act e con l’avvento del contratto a tutele crescenti, che mantiene il reintegro in caso di licenziamenti illegittimi discriminatori e parzialmente disciplinari, aprendo la strada al risarcimento di un’indennità negli altri casi e nei licenziamenti economici.
Oggi il contesto dello Statuto dei lavoratori non è più improntato alla linea del Piave tra le piccole aziende (sotto i 15 dipendenti) e le altre. L’area di copertura del vecchio Statuto si è ristretta, pur mantenendo inalterata la sua funzione di garanzia delle libertà sindacali, ma si trova di fronte ad altri dualismi. La divisione tra precari e tutelati, tra insider e outsider si è accentuata e si è popolata di nuove figure: cococo, cocopro, partite Iva, intermittenti, e così via. E’ l’area dei mancati diritti di cittadinanza che si è allargata, ponendo con forza il tema di un diritto del lavoro e al lavoro che non può essere scandito dalle tipologie contrattuali adottate ma dalla universalità della cittadinanza. Dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto del lavori: questo è uno dei percorsi possibili; ad alcune condizioni: che non sia ostacolato da vendette sociali e spiriti di rivincita, ma sia ispirato all’uguaglianza dei lavoratori in quanto cittadini e indipendentemente dal tipo di contratto di lavoro posseduto.
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