A riattizzare la polemica sulle parole di Piergiorgio Odifreddi a proposito dell’esistenza, secondo lui non scientificamente dimostrata, delle camere a gas, è arrivato anche un comunicato dal Festival della Scienza, che contesta radicalmente il pensiero del matematico. A me, sinceramente, stare a discutere sugli storici, se adottino un metodo scientifico o no, interessa poco. Mi interessa invece, e molto, che Odifreddi, con la sua affermazione (che più avanti riporto integralmente, perché repetita iuvant) abbia di fatto espresso grandi riserve anche su quanto raccontato dai sopravvissuti. Di più, ha ridotto i loro racconti, incisi nella memoria e nella pelle, a “opinioni” confutabili. Peggio, li ha arruolati al “ministero della propaganda” alleato che, par di capire, come tutti i vincitori avrebbe riscritto la storia, anche quella dello sterminio.
Le memorie di Primo Levi o di Shlomo Venezia (un “sonderkommando“, cioè uno di coloro che avevano il terribile compito di raccogliere i cadaveri nelle camere a gas, spogliarli e prepararli per i forni), non hanno valore “scientifico”. E tantomeno l’hanno tutte le testimonianze raccolte dalla Shoah Foundation di Spielberg, che ha meritoriamente intervistato tutti i sopravvissuti ai campi di sterminio che è riuscita a trovare prima che morissero.
Questo io non riesco a perdonare a Odifreddi. Ecco le sue esatte parole, pesanti come pietre, dolorose come il ricordo del lager tatuato sulle braccia dei sopravvissuti: “Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse ‘so’ appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ‘ministero della propaganda’ alleato nel dopoguerra. E non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che ‘uniformarmi’ all’opinione comune. Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti”. Posso facilmente immaginare quale sia l’”opinione comune” dei sopravvissuti ancora viventi e dei loro famigliari.
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